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Le recensioni di PcSera: Franz Ferdinand, Editors, Arctic Monkeys

Le recensioni musicali di PiacenzaSera.it, scritte per voi da Giovanni Battista Menzani. 

FRANZ FERDINAND
 
Right thoughts right words right action (2013)
 
EDITORS
 
The weight of your love (2013)
 
ARCTIC MONKEYS
 
AM (2013)
 
Il tempo è un bastardo (cit.)*
 
Scorre per tutti, inesorabilmente. Ma non per tutti alla stessa velocità. Il mio cane, ad esempio. Zoppo e spelacchiato, abbaia rauco che sembra più una foca, che un cane. Per lui il tempo scorre più rapidamente. Lo stesso accade per le bands. 
 
Tra quelle emerse a inizio millennio in Gran Bretagna, ecco di nuovo in pista i Franz Ferdinand.
 
Artefici di un art-rock molto influenzato dal funky e dai Talking Heads, gli scozzesi tornano con un album dalla consueta grafica costruttivista e zeppo di brani ballabili, ridondanti, purtroppo schiavi di una formula ormai scontata e che invece tendono a ripetere all’infinito. Senza sussulti.
 
Discorso diverso per gli Editors.
 
Il gruppo di Birmingham si smarca dall’accusa di essere un clone dei Joy Division e vira, dopo la sfortunata parentesi elettronica del penultimo e assai deludente “In this light and on this evening”, verso un sound AOR e verso un’epica da stadio. La critica, spietata, cita U2, Muse e Coldplay. 
 
Peccato, perché le bonus track acustiche, “Hyena” e “Nothing”, lasciano intravvedere nuovi percorsi, se decidessero di abbandonare enfasi e magniloquenza.
 
Se la cavano egregiamente, invece, gli Arctic Monkeys, anche loro come gli Editors al quinto disco (i FF al quarto).
 
La band di Sheffield abbandona l’indie degli esordi ed emigra in America. Il suono ora è più maturo, scarno ed essenziale, la scrittura è più complessa, i temi più profondi.
 
L’album – semplicemente intitolato AM – si apre con una spettacolare doppietta, “Do I wanna Know?” (atipico primo singolo) e “R U Mine?”: due domande, come a dire, risposte non ne abbiamo.
 
“One for the road” è fiacca, ma non c’è tempo per recriminare. “Arabella” e la lennoniana “No. 1 party anthem” sono tra i pezzi più convincenti, e tra loro “I want it all” scorre tutto sommato innocua.
 
La seconda metà soffre il rischio della ripetizione e appare nel suo complesso meno urgente, anche se un cenno lo meritano “Fireside” e l’altro singolo “Why’d you only call me when you’re high”, mentre “Knee socks” sembra rubare l’intro a “Miss you” degli Stones e la mielosa “Mad sounds” termina – tra organi sixties e una chitarra dolcemente ripegata su sè stessa – in un Ullallà-ù di cui le scimmie artiche sembrano non avere vergogna, ed è una dimostrazione di maturità raggiunta (chissà cosa ne penseranno i fan della prima ora, quelli del clubbing più duro).
 
* Jennifer Egan
 
Giovanni Battista Menzani
 

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