Pausa caffé con Nereo Trabacchi: I nostri limiti

Ecco il racconto di Nereo Trabacchi. 

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I nostri limiti 
di Nereo Trabacchi 

Paride, quarantenne piacentino ha fatto un patto con il suo Creatore: in cambio dell’immortalità, ha accettato di vivere in un’unica stanza per l’eternità: una biblioteca contenente tutti i libri del mondo. Sono passati 425 anni da quando è chiuso in quella stanza. Quando varcò la soglia il 23 dicembre 1592, Piacenza era una piccola città tutta rannicchiata tra le sue mura, ma con larghe strade e numerose chiese.

Paride ha mantenuto il fisico asciutto, i capelli biondo cenere e la morbidezza della pelle. Dall’unica piccola finestra presente, può vedere solo un rettangolo di cielo mai minimamente mutato nei secoli se non per le pennellate di colore applicatagli dal meteo. La libreria dove si trova è una stanza ficcata nel cuore di Palazzo Farnese, il cui varco è stato subito murato dopo il suo ingresso. Nessuno sa di quella sala che non appare in nessuna nelle carte progettuali dell’edificio e relativi restauri. Le esigenze fisiche di Paride sono scomparse dopo l’accordo con il Creatore. Non ha più avuto la necessità di mangiare, bere, fare sesso ed espellere fisiologico. Solo dormire. Sì, quello gli è stato concesso per aiutarlo a non impazzire. Ed era proprio nelle ore di sonno che accade la magia.

Quando si risveglia sugli scaffali della ciclopica libreria trova i nuovi volumi che sono stati pubblicati quel giorno nel mondo: quindi Paride può seguire l’evoluzione. Si alza la mattina, legge, pensa, immagina, e si corica per le lunghe ore di sonno.  Paride non è particolarmente intelligente, quindi molte delle informazioni prese dai libri semplicemente le assimila senza comprenderle, per poi successivamente perderle facendosele scivolare addosso con lo stesso destino di una goccia di rugiada su una foglia all’alba di una calda mattinata estiva.

Null’altro di claustrofobico e soffocante al mondo può essere paragonato alla situazione di Paride, che tuttavia, grazie anche alla sua semplicità d’indole e le poche pretese di spirito a fargli da scudo, incassa piuttosto bene i lati negativi della faccenda arrivando attraverso i suoi tragici limiti, a comprendere come se non si conosce troppo a fondo il “brutto”, non di può sentire eccessivamente la mancanza del “bello.”  

Ogni volta che passo a fianco di Palazzo Farnese, guardo su, verso quella che immagino essere la finestrella attraverso la quale Paride può osservare la stessa fettuccia di cielo da 425 anni, e non posso fare a meno di pensare come lì in quella stanza murata, lui in fondo non sia altro che la nostra stessa mentalità, là dove le grandi potenzialità sono represse dalla mancanza di stimoli, scelte accomodanti, timore di essere prevaricati, o peggio, terrore che qualcuno riesca meglio di noi, e le migliaia di nozioni che assimiliamo dal mondo, come lui fa dai suoi libri, restino nel nostro passato ormai “ingombro di innumerevoli lastre fotografiche, che rimangono inutili perché l’intelligenza non le ha sviluppate”.

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