La compilation dell’estate, consigli per gli ascolti

In attesa del nuovo National e del nuovo Arcade Fire, per il quale i primi singoli - l'eponimo "Everything now" e "Creature comfort" - fanno assai ben sperare, ecco una bella carrellata di titoli da non perdere

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In attesa del nuovo National e del nuovo Arcade Fire, per il quale i primi singoli – l’eponimo “Everything now” e “Creature comfort” – fanno assai ben sperare, ecco una bella carrellata di titoli da non perdere.

Oltreoceano, la salute non manca. Tra i titoli ascoltati di recente, come non segnalare “Crack-up” dei Fleet Foxes, tra gli alfieri del cosiddetto folk corale, “Hot thoughs” degli immarcescibili Spoon – difficile che sbaglino una pratica – e il raffinassimo glam pop di Perfume Genius, all’anagrafe Mike Adreas (“No shape” è senza dubbio uno dei dischi più belli di questa prima parte dell’anno).

E poi, alcune gemme semi sconosciute. Nel campo del cantautorato, ecco l’atipico lo-fi di “Rocket” di (Sandy) Alex G, che vanta origini italiane (lui all’anagrafe fa Giannascoli), e due ragazze da seguire: “Everybody works”, seconda prova della cantautrice californiana Jay Som e la dolcissima indietronica di “Infinite worlds” di Vagabon, che è di casa a New York ma viene dal Camerun. 

Per la scena indie, due nomi: le Girlpool (“Powerplant”) e i Big Thief (“Capacity”). I primi propongono un sound più duro rispetto al passato, mentre i newyorkesi un alt-folk da deserto americano.Per quella black, ovviamente l’onnipresente Kendrick Lamar (“DAMN”).

Tra i “vecchi”, Mark Lanegan (“Gargoyle”) con il suo blues sporco e Jeff Tweedy (“Together at last” è in realtà una raccolta di versioni rigorosamente acustiche, solo voce e chitarra, dei brani più importanti della sua carriera, Wilco compresi!)

Infine, alla fine di giugno è uscita una raccolta di B-sides e di rarità dei Beach House. Il titolo è, appunto, “B-sides and rarities”. Solo per i fan più accaniti. 

La perfida Albione pare sonnecchiare, ma ormai è così da anni. Il nuovo Alt-J (“Relaxer”) suona un po’ noioso, e anche i mancuniani Elbow deludono (“Little fictions”). Tuttavia, non tutto è da buttare. Paul Weller e i Gorillaz, ad esempio. Il maestro batte l’allievo: è proprio il caso di dirlo.

“A kind revolution” (lo sa il cielo quanto ci vorrebbe, questa rivoluzione gentile) è l’ennesima grande prova di bravura dell’ex leader di Jam e Style Council, in cui trovano spazio blues, soul e R’n’B, oltre alle consuete ballate preziose (“Long long road”).

“Humanz” invece, nato come un’ipotetica e apocalittica colonna sonora per la fine del mondo, è un’opera complessa ed eterogenea, appesantita oltremodo da qualche ospite di troppo (il pur ottimo Benjamin Clementine non brilla in “Hallelujah”, ottima invece Grace Jones in “Charger”, forse il brano migliore dell’intero lotto) e salvata appena dai brani cantati dal co-titolare (“Andromeda” e “Saturnz barz”).

Qui da noi, già detto altrove di Brunori s.a.s. e delle Luci della Centrale Elettrica, resta poco da segnalare. “La graziosa utopia” di Edda, recentemente visto al Melville di San Nicolò.

E il resto del mondo? In heavy rotation c’è da tempo il pop venato di soul dell’appena ventenne Lorde (“Melodrama”), che arriva dalla Nuova Zelanda e vanta già una collaborazione con i Disclosure, il metal sperimentale di Violet Cold (“Lovegaze”) ovvero una one-man band dall’Azerbajan – segnalazione dell’amico J. -, lo svedese (elegantissimo) Jens Lekman (“Life will see you now”) e i bizzarri Gesu No Kiwami Otome (“Ryouseibai”) dal Giappone.

Giovanni Battista Menzani
@GiovanniMenzani

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