“Codice dei beni culturali” Oggi la presentazione a Palazzo Galli

Sarà presentato oggi, lunedì alle 18, nella splendida cornice della Sala Panini di Palazzo Galli della Banca di Piacenza, il “Codice dei beni culturali” dell’avvocato Corrado Sforza Fogliani, Presidente Centro studi della Confedilizia e Presidente Comitato esecutivo dell’Istituto di credito di via Mazzini.

La presentazione al pubblico di questo volume, edito dalla Casa Editrice La Tribuna – completo ed esaustivo sui contenuti – rientra nelle iniziative collaterali alla Salita al Pordenone nella basilica di Santa Maria di Campagna.

Forse, non c’è materia più intricata – oggi – di quella dei Beni culturali. E questo Codice intende aiutare sia gli operatori del settore che lettori che intendono approcciarsi alla materia, mettendo a disposizione degli stessi e trattando (secondo una costante, pluriennale, tradizione de La Tribuna) gli argomenti più importanti e di più facile, immutata consultazione.

Scrive l’autore Sforza Fogliani nella prefazione “I proprietari vedono crescere simultaneamente i costi e le imposte. Per di più sono sbeffeggiati, perché il populismo demagogico li dipinge come “i ricchi”, adusi a vivere in comodi castelli o in sontuose ville. Devono essere loro – si blatera – i primi a pagare, e a pagare di più, perché titolari d’immense fortune, ovviamente reputate immeritate e anzi frutto di colpevoli pecche, in applicazione del sempre vivente assioma sulla proprietà vista come un furto, espressione, oggi, non tanto di valutazioni politiche, quanto di mera e diffusissima invidia sociale. Quale la conseguenza? Semplicissima: i mitici castelli, i palazzi nobiliari, le ville sognate, non solo non fruttano i favolosi redditi ipotizzati, come si vorrebbe far credere con faciloneria disarmante, bensì si corrodono nel patrimonio. Infatti viene meno la possibilità di eseguire i lavori, fossero anche solo di manutenzione ordinaria, non si dice di recupero o di restauro o di straordinaria manutenzione.

La scontata ripercussione, che già si appalesa qua e là ma che, ineluttabilmente, vedremo nei prossimi anni (non decenni: basteranno pochi anni, purtroppo), è semplice, comprensibile anche soltanto alla luce del buon senso ma, all’evidenza, ignorata dalla classe politica, senza eccessive differenze di colore e tutta quanta orba, appunto, di buon senso. Ecco la conseguenza: il bene viene abbandonato e destinato, quindi, alla decadenza. La dimora storica rischia di diventare un rudere, perdendo insieme tutti i valori, culturali, storici, sociali, artistici, che essa ha finora detenuto. Quando, invece, vi siano i mezzi per consentire i lavori necessari, ecco che si genera un positivo indotto economico, sia per le opere edili (sovente per imprese specializzate nel recupero specifico), sia per le prestazioni di professionisti (anche loro spesso preparati nel settore), sia in generale per il miglioramento ambientale complessivo, perfino per l’avvaloramento culturale e i conseguenti richiami turistici.

La vicenda del mancato saldo dei contributi statali è esemplare per indicare la condizione di sfascio – non c’è parola più adatta – cui siamo giunti. Lo Stato deve ai proprietari d’immobili storico-artistici 97 milioni di euro per i lavori di restauro effettuati e liquidati (al 50% dei costi) dalle competenti Soprintendenze. La somma è stata confermata dal Ministero per i Beni culturali. Dunque, lo Stato ha spinto i proprietari d’immobili storico-artistico a compiere lavori, considerati, è palese, necessari e utili alla collettività, non soltanto al singolo. I proprietari si sono sobbarcati i lavori, fidando nel rispetto dell’impegno assunto dello Stato. Invece, nonostante la liquidazione e il riconoscimento del debito da parte degli uffici competenti, i rimborsi non giungono”.

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