Le Rubriche di PiacenzaSera - Nave in bottiglia

Piacenza, il fascino discreto degli anni Cinquanta

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Nella nuova “Nave in bottiglia” Mauro Molinaroli racconta Piacenza e il fascino discreto degli anni ’50

Sulle strade della Piacenza degli anni Cinquanta si incrocia il flusso un po’ affannato delle biciclette: i polpacci dei signori incappellati si gonfiavano sotto i larghi pantaloni di tessuto sdrucito mentre, con le spalle incurvate si affrettavano verso fabbriche e uffici. I più fortunati possedevano la “Vespa” mentre la “Topolino” rappresentava il sogno piccolo borghese.

Cortili stretti, assolati. Studiare costava, e con la fantasia povera ma bella gli adulti correvano dietro ai film di Vittorio De Sica e Glenn Ford. Tanta vita di parrocchia, sacerdoti filosofi e la Sisal, laddove un dodici poteva valere un matrimonio. Preti buoni, preti da combattimento: ora medici, ora confidenti ora consiglieri. Ma anche personaggi dimenticati nel tempo e nella memoria. Il mitico Gelati, un marcantonio di due metri e 150 chili, ad esempio, a novembre vendeva crisantemi e a Natale i calendari coi proverbi piacentini e Ciotti, altro personaggio di borgata, proponeva i suoi limoni per poche lire.

Poche le cravatte e le camicie bianche, rari i cappotti di cammello. E guance ispide: lamette e schiuma da barba, ma non tutti i giorni. Barberie piene la domenica mattina. Nelle osterie, odore di vino e di sudore. Nei primi anni Sessanta si decise di costruire il Terzo Lotto e allora la piazza venne occupata da tante casematte coi negozi più prestigiosi. Roba da non credere, increduli soprattutto Ranuccio e Alessandro. D’estate la fiera di Sant’Antonino non era solo la festa del patrono, era la fiera dei sogni e d’inverno, le bancarelle del mercato erano occupate da signore che ti vendevano il formaggio grana; periferie assolate e granite al tamarindo, strade deserte e uomini con la faccia grama.

Il fascino del mercato e delle bancarelle di piazza Duomo, apriva un nuovo mercato coperto in piazza Cittadella, sembrava la mecca. Seicento piazzate di male in peggio in piazza Borgo, angoli ricchi di storia e di mediatori che vendevano e acquistavano case da ristrutturare. Tempi duri, lavoro nero. Giulia Occhini, la Dama Bianca e Fausto Coppi furono condannati per adulterio e abbandono del tetto coniugale. Le donne votavano da poco e stavano lontane dalla politica, definita, in quegli anni, roba da uomini. Il mondo era diviso in due da una cortina di ferro. Le signore senza pensione vendevano caldarroste davanti a San Francesco, mentre di fronte al Dado c’era chi parcheggiava senza porsi alcun problema.

Compaiono le prime luminarie natalizie ed è una festa in città. C’è la neve per strada e gli ultimi ubriachi lasciano le osterie di fuori porta; qualcuno si aggira nelle strade con un poster sulla schiena: “Visitateci – dice – troverete prezzi e qualità in via Calzolai”. Un signore dalla faccia scura vende cinture e un vecchietto per poche lire ti vende un metro di elastico. Ferrivecchi, strade sgombre in una periferia che mette un po’ di tristezza, biciclette, spaghi, donne che appartengono alla terza età. I bambini vogliono i cubi di ghiaccio, e un pullman vende elettrodomestici.

Siamo povera gente, solari ma fiduciosi in questo Paese, in cui Paola Bolognani, studentessa diciottenne di Pordenone, conquista a “Lascia o raddoppia?”, il cuore degli italiani. E il programma di Mike Bongiorno furoreggia. Per quell’ora si rinviano anche i consigli comunali, i giornali pubblicano il resoconto stenografico delle puntate. Nei bar, con sovrapprezzo sul caffè, e nei cinema al giovedì sera era un rito. Il tenore Gianni Poggi con la sua voce conquista il mondo, peccato che la sua stella brillerà per pochi anni. Don Camillo e Peppone, entrarono nel mito grazie a Guareschi, ma anche grazie a Gino Cervi e Fernandel, protagonisti assoluti, dei film dedicati al Grande Fiume, all’Italia di ieri.

“Nel blu dipinto di blu” trionfa a Sanremo. E’, quel brano, il nuovo di cui il Paese ha bisogno. Un istante prima non la conosceva nessuno, un attimo dopo è sulla bocca di tutti e per anni quel “Volare / oh oh…”, sarà il marchio di fabbrica del made in Italy.

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