Ferrara e la fine del dibattito “argomentato e civile”: “Trump ne è l’esempio” foto

Giornalismo e spettacolo. Oggi il giornalismo soccombe di fronte al potere dell’immediatezza e della spontaneità che trova nei social il suo veicolo più congeniale. Senza più mediazioni, senza più meditazione.

E’ questa la cifra della nostra stagione politica e dell’informazione, che ha finito per alimentare tutte le forme del populismo, da Donald Trump in giù.

Ascoltare Giuliano Ferrara – sollecitato dagli spunti di Eugenio Gazzola – sul tema del “giornalismo oggi e la società dello spettacolo”, è stato certamente stimolante per il pubblico accorso all’auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano.

“Domani gli americani – ha esordito Ferrara – votano per le midterm elections e da due anni sono governati da un signore che si chiama Donald Trump, un presidente sul quale si possono dare giudizi di vario tipo, e non tutti necessariamente encomiastici. Uno che viene da “The Apprentice”, il reality show.

Giuliano Ferrara in Fondazione di Piacenza e Vigevano

E’ uno che disprezza le minoranze, ma che ha anche disinnescato la contesa nucleare con il dittatore coreano Kim Jong Un.
Con le donne ha un rapporto che non voglio neppure evocare, uno che insulta la stampa e twitta in maniera compulsiva.

E tuttavia oggi la disoccupazione negli Usa è minore che a Piacenza, la Borsa va bene e si è avuto anche un aumento dei redditi reali”.

“E secondo voi Trump – si è chiesto Ferrara – ha impostato la sua campagna elettorale su questi risultati? No. Cita soltanto en passant queste performance economiche. Il punto vero su cui ha fatto leva la sua propaganda è la carovana di circa 6mila latinos in fuga dal Centro America, che stanno cercando di arrivare a piedi al confine tra il Messico e gli Stati Uniti.

Qualcosa di ridicolo per il paese che ha fatto il melting pot la sua ragione di esistenza, un assoluto non problema, una balla demagogica.

Trump evoca il pericolo di invasione di una schiera di disperati e quello che vuole trasmettere un messaggio semplice, la paura. Aveva vinto le elezioni del 2016 sul tema del muro con il Messico e ora vuole rivincerle con lo stesso argomento”.

“Siamo arrivati sin qui perchè oggi – ha chiarito il fondatore de “Il Foglio” – semplicemente non ha più prestigio l’idea di un dibattito argomentato intorno alle questioni civili e pubbliche. Questo è il segno del nostro tempo. Il riconoscimento della realtà come terreno comune del confronto non è più il punto di partenza del dibattito giornalistico”.

“Il giornalismo non nasce – ha sottolineato in chiave storica – per dare voce all’autonomia dei giornalisti, questo a me pare un mito un po’ sopravvalutato perchè sono anche loro dipendenti da un potere. Il giornalismo è un potere tra i poteri.

Con l’approdo della pubblicità tra i giornali – all’inizio del ‘900 – si va così affermando un’ideologia che inizia a rimpiazzare il conflitto oratorio tra opinioni differenti che fondava alla radice la democrazia liberale.

Il giornalismo diventa così expertise, ovvero capacità id vendere al lettore una notizia e una saponetta sullo stesso medium.

Tutto questo è stato messo in crisi da qualcosa di ancora più complicato, dalla televisione prima e dal web poi. Un’informazione inarrestabile che va direttamente da produttore al consumatore senza mediazioni e senza disciplina, tutto così è mutato”.

Giuliano Ferrara in Fondazione di Piacenza e Vigevano

“La rete è fatta per soddisfare – ha spiegato – un’esigenza senza confini di informazione, mette insieme infatti la vendita di saponette, sbuffi di odio, cose sublimi come le enciclopedie, e ciascuno di noi fruitori diventa assoggettato a una sorta di suddittanza che sottrae tempo a tutte le altre attività. Una specie di frullatore universale diventato indispensabile per tutte le professioni”.

“Il giornalismo si è fuso con la società dello spettacolo e tutto il meccanismo portato alle sue estreme conseguenze genera le fake news, proprio come quella usata da Trump in campagna elettorale, con la carovana dei latinos”.

“Contro questa informazione che viene direttamente dal potere costituito non ci sono più difese. L’opinione pubblica non esiste più, c’è solo la demogogia e la guerra a chi la spara più grossa. Tutto resta affidato alla sonorità della politica, alla sua capacità di rimbombare”.

“Abbiamo assistito – la sua conclusione – alla costruzione di una nuova personalità collettiva, nella quale prevale l’immediatezza, l’istintività e la spontaneità”. E per il momento le contromisure non esistono.

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