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La “Piazza Grande” di Piacenza, tra storia e memorie

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La Piazza Grande, tra storia e memoria

In Piazza Cavalli ho scelto di abitare e di lavorare, forse perché mai ho avuto il coraggio di andarmene da questa città. E allora la storia millenaria della piazza con le sue pietre levigate i suoi monumenti, i cavalli maestosi che si perdono nel tempo, mi fanno sentire parte di una comunità, senza retorica.

Tutti abbiamo davanti agli occhi la bellezza universale del Palazzo del Governatore, Palazzo Gotico e della basilica di San Francesco. Fino alla riflessività di Romagnosi, quasi ad indicare che Piacenza, come è stato scritto più volte, prima di parlare, ragiona. E poi c’è Palazzo Mercanti, la sede municipale, un tempo piccolo teatro, ma ci sono anche i tanti ricordi legati a storie di vita che diventano poi vite ricche di storia.

Qui lavoro come addetto stampa da molti anni e ho visto passare tanti sindaci. Ricordo Stefano Pareti, un amico, ci hanno unito i gusti musicali e letterari, Gianguido Guidotti un gentiluomo, una bella persona d’altri tempi. Di Roberto Reggi ho in mente la sua partecipazione quando morì mia madre. Lo sentii molto vicino. E’ un entusiasta e un vulcano di iniziative. Con lui non esistono orari.

Ho scelto di abitare nei dintorni della piazza, perché, in un modo o nell’altro ho l’impressione di essere parte di questa storia. Che so: il lavoro, le poche cose che ho scritto, mi avvicinano sempre di più al cuore di una città che pulsa, anche se il centro storico arranca.

Col tempo piazza Cavalli e dintorni sono diventati meno attivi di una volta, quando il centro era davvero il meglio, quando i negozi pullulavano e le banche non avevano ancora messo sportelli ovunque.

C’era Renato, ma c’era anche il bar Parisi, anni Sessanta e Settanta, il biliardo, il bancone, l’elegante locale un po’ fumoso. Era il biglietto da visita di Piacenza, insieme alla Pasticceria Lombarda e i deliziosi pasticcini che ci facevano compagnia la domenica a pranzo. E poi il Barino, in largo Battisti, coi tavolini fuori e tanta gente che trovava il tempo di fermarsi per un caffè, giorno e notte, perché a qualsiasi ora trovavi chi aveva voglia di raccontarti l’ultima su questo o quello. Professionisti, imprenditori, esponenti della media borghesia, coi vitelloni di casa nostra che si piazzavano nei bar del centro e tiravano mattina.

C’era il Circolo dell’Unione, che è rimasto, fortunatamente. Perché la piazza aveva ed ha un suo fascino. Trovavi il “direttore” Ernesto Prati che a notte fonda, dopo avere dato l’ultima occhiata a “Liberta” prima che andasse in stampa, passava al Barino per un caffè; all’alba c’erano il Mario e Iole Tortellotti, che aprivano la loro edicola. L’altra edicola era di Molinari, ex pugile di media fama. E ancora, il “Bottegone”, o – se vi pare – il bar Romagnosi, ma anche il Dado Bar, il bar San Carlo e il Bar Italia. E poi i negozi che hanno fatto la storia dello stile. Tadini & Verza, Ronchini, Peveri, Amadori.

Attorno alla piazza trattorie e osterie: la trattoria Sant’Ilario con l’ineguagliabile tris di primi, sostituita poi dal raffinato Bonnie Charlie Pub di Medardo Casella, che sotto la galleria della Borsa, aveva aperto anni prima il Baretto anticipando l’idea dell’happy hour, mentre di fronte c’era il Bar Borsa, che fungeva anche da ristorante.

E poi odore di minestrone alla trattoria della Zocca e di salumi di qualità lungo via Calzolai e in via Garibaldi. C’erano i fratelli Savazzi e la gastronomia Fiorilli, la boutique dell’ortofrutta di Cabrini, vecchio socialista sempre polemico e burbero, ma in fondo in fondo, molto buono. La tabaccheria Carmagnola è rimasta, non c’è più il vecchio Gino, è vero, i nipoti gestiscono oggi questo esercizio.

Ricordate? L’albergo Croce Bianca, era nel cuore della città e quando vi soggiornò John Kennedy non fu un evento (era troppo giovane), un evento fu invece la costruzione del Grande Albergo Roma, realizzato nel 1968. C’era la strada degli alberghi che da largo Matteotti, passava per via Cavalletto, via Mentana per congiungersi in via Garibaldi, e potevi trovare l’albergo del Cappello, il Cavalletto e il Leon d’Oro.

Altri tempi e altre storie. Come quella legata al Club 33 in largo Matteotti, al Discobolo al Terzo Lotto. E ancora: il Fulmine, Vittadello e Dossena, gli ottici Ferrari. Ma soprattutto il centro storico e piazza Cavalli erano un fiorire di iniziative e di negozi. Quando aprì la Sma, qualcuno pensò al finimondo, qualcuno disse che cambiava qualcosa e per sempre. Un supermercato in centro non s’era mai visto.

Ma non è stata soltanto un pezzo di vita che attraversa più generazioni, questa imponente piazza rappresenta qualcosa di più, di molto più grande. Il 27 aprile 1945 i comandanti partigiani e gli americani, seguiti da una folla immensa che invade la piazza, dichiarano che Piacenza era una città libera dal dal nazifascismo.

E ancora, nel 1982 il presidente della Repubblica Sandro Pertini, fa visita a Piacenza che compie e festeggia e 220 anni di storia, mentre nel 1988, Papa Giovanni Paolo II viene accolto da migliaia di fedeli. Tra il 1986 e il 1989 i cavalli del Mochi lasciano provvisoriamente la bella piazza per essere restaurati nelle officine dell’Arsenale militare e il salone di Palazzo Gotico ospita mostre di grande importanza.

In una storia continua, difficile da descrivere, e ancor più difficile da ricordare. Passano da queste parti anche i presidenti Cossiga, Scalfaro e Ciampi, ma l’amore che Piacenza riserva per Pertini ha dell’incredibile. E poi comizi, tanti uomini politici di primo piano, siano essi di destra o di sinistra, Silvio Berlusconi, Pierluigi Bersani e Giorgio Almirante (anni lontani).

Insomma, questa piazza, nella sua bellezza e nella sua maestosità, ha accolto e ha vissuto trasformazioni legate alla nostra esistenza e alla nostra storia, ha vissuto la vita di tutti giorni, tra concerti, spettacoli, e tanta gente che gremisce il mercato, il mercoledì e il sabato, quando le signore ritrovano quella spontaneità che appartiene a una città, Piacenza, da sempre in amore con la sua piazza in cui, per dirla con Lucio Dalla, penso proprio che “Se non ci sarà più gente come me / Voglio morire in Piazza Grande /Tra i gatti che non han padrone come me… Attorno a me”.

Mauro Molinaroli

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