Anni operai, Bentivogli: “Nè autonomo, nè dipendente, il sindacato rappresenti il nuovo lavoro” foto

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Una riflessione sul lascito dell’autunno caldo e delle lotte operaie, per comprendere quanto di quell’eredità può essere ripresa ancora oggi. Senza nostalgie e reducismi. E’ questo il senso – illustrato da Eugenio Gazzola – dell’operazione editoriale di Edizioni Scritture che ha portato alla stampa del libro “Anni operai – Piacenza 1969-1972, Memorie di un lungo autunno caldo”.

Al centro “Il Samaritano” della Caritas di Piacenza, sul volume che raccoglie diverse testimonianze a 50 anni dalla stagione delle lotte in fabbrica si sono confrontati tre sindacalisti protagonisti del nostro tempo: Rocco Palombella della Uilm, il piacentino Vincenzo Colla, vicesegretario nazionale della Cgil e Marco Bentivogli, segretario della Fim Cisl.

Il libro ospita una coralità di testimonianze di marca piacentina e nazionale, che spaziano dagli anni ’60 fino ai giorni nostri. Di particolare interesse il contributo al dibattito portato da Bentivogli, sindacalista assai attento ai mutamenti in corso nel mondo del lavoro.

“Non sono venuto qui per fare un appello alla nostalgia e alla retorica di quegli anni – ha esordito – che furono formidabili ed in questo senso è importante contestualizzare la congiuntura storica che li caratterizzò. Con un papa che si chiamava Giovanni XXII, con John Kennedy alla guida degli Stati Uniti e Nikita Kruscev a capo del Pcus. Si parla sempre del ’68 dal punto di vista della storia studentesca, ma è importante raccontare anche di quello che è accaduto nelle fabbriche negli anni ’60. In quella stagione del nostro paese gli italiani erano un po’ i cinesi d’Europa. Poi partì la grande vertenza sindacale dei metalmeccanici che fece esplodere la conflittualità nelle aziende e insieme si propagò un meccanismo virtuoso. Con le aziende delle partecipazioni statali che ad esempio si staccarono da Confindustria, dando vita all’Intersind”.

Anni operai libro

“Gli anni ’60 – ha aggiunto – hanno segnato pure l’ingresso di una nuova generazione di sindacalisti che riuscì a cambiare la pelle delle organizzazioni, con una maggiore autonomia anche formale dalle forze politiche. Le rivendicazioni sindacali così cambiarono e si alzó la qualità anche della domanda di diritti. Oggi abbiamo ricevuto in eredità un miglioramento nelle condizioni del lavoro che iniziò allora, attraverso uno sguardo più globale sul mondo del lavoro. Nel contratto dei metalmeccanici raggiunto nel ’73 vi sono conquiste decisive come il diritto alla formazione, che significò un passaggio fondamentale di emancipazione e riscatto per tanti lavoratori che ottennero il titolo di studio. La cultura è un elemento base dell’emancipazione delle persone”.

“Ci portiamo inoltre da quegli anni una grande capacità di modernizzazione del sindacato. Le organizzazioni dei metalmeccanici trovarono l’unita e un momento di forza mai raggiunto prima con la Flm. Oggi che si parla di nuovo di unità sindacale, lo facciamo troppo a spot, ma questa è una necessità ancora più stringente. C’è infatti un pezzo di rappresentanza nel lavoro che oggi il sindacato fatica a raggiungere e non c’è peggiore errore che tentare di racchiudere il nuovo in vecchi contenitori. Oggi tanta parte del lavoro che nasce non è ne autonomo nè dipendente e pertanto non rispecchia più la vecchia distinzione sulla quale è fondato il ruolo del sindacato”.

“Come rappresentiamo il lavoro oggi? Occorre una riflessione che utilizzi strumenti nuovi. Anche dentro la contrattazione dobbiamo ragionare anche con criteri diversi, la contropartita dei lavoratori non può più essere solo il salario, ma il benessere del lavoratore inteso in senso lato”.

E per concludere ancora un riferimento alle lotte di 50 anni fa. “Il paradosso di oggi è che le differenze ideologiche negli anni ’60 erano molto più marcate, ma c’era un’educazione al pluralismo che oggi manca sia nel sindacato che nella politica. Guardiamo a quei grandi dirigenti di allora e riportiamo fra di noi quello spirito. E comprendiamo che tante sigle e tante organizzazioni significano purtroppo tante poltrone con il rischio di indebolire i lavoratori”.

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