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L’innovazione scolastica a Piacenza, c’è ancora spazio per una didattica non calata dall’alto?

Nell’ambito delle celebrazioni del 20esimo anniversario di fondazione della facoltà di Scienze della Formazione della sede di Piacenza dell’Università Cattolica del S. Cuore, si è svolto un convegno di studi sull’innovazione scolastica nella città emiliana: radici, presente e speranze per il futuro.

Sotto la guida del prof. Pierpaolo Triani, docente ordinario nella facoltà, sono intervenuti i pedagogisti: Luciano Corradini (con uno scritto), Lucio Guasti e Alberto Gromi, la dirigente scolastica Simona Favari e Gian Carlo Sacchi autore, per la locale casa editrice Scritture, di un volume sull’argomento.

Il libro raccoglie una documentazione degli ultimi trent’anni del secolo scorso, un periodo molto interessante per tutto il sistema scolastico del territorio. Si trattava di un’innovazione partita dal basso, dalle scuole, che il ministero ha dovuto rincorrere con “progetti assistiti”.

Sull’onda lunga dei decreti delegati era forte l’esigenza di un’apertura verso la società attraverso la partecipazione, che dava stabilità alla struttura territoriale e la sperimentazione, che doveva fornire la necessaria flessibilità al curricolo e all’organizzazione. La didattica non veniva calata dall’alto, ma nelle scuole si costituivano gruppi di ricerca formati da docenti con l’aiuto di università, associazioni professionali e IRRSAE. Si respirava aria di autonomia, che però ancora oggi non si è pienamente realizzata.

La scuola doveva pensarsi insieme al territorio, cambiare perché cambia la società, attraverso l’autovalutazione e il miglioramento, che tutt’ora però ha dei limiti sul piano gestionale e finanziario: una scuola voluta dallo Stato, ma gestita dalla società. Calato il vento della partecipazione siamo entrati nella “bassa marea” del riflusso e la motivazione del personale nei confronti dell’innovazione sembra scemare facendo prevalere la rassegnazione.

Ma oggi dunque cambiare è ancora possibile ? Sembra che più che affidarsi alle tecnologie siano necessarie nuove idee, che tengano conto delle “diverse psicologie” dell’innovazione, dispongano di trame di supporto in un clima di collaborazione. La nuova prospettiva è la mobilitazione del capitale umano della comunità, nella costruzione di processi piuttosto che nell’assimilazione di contenuti ed un nuovo modello di laedership.

Alla base del concetto di innovazione comunque rimangono due culture: una fenomenologica ed una esistenziale e la scuola allora come ora ha bisogno di attori motivati che in una struttura sommersa dalla burocrazia potevano definirsi “minoranze attive”, gruppi legati alla ricerca ed alla formazione che animavano l’esperienza innovativa, senza dei quali la macchina scolastica sempre più grande rischia di arrestarsi.

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