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Alunni stranieri nelle scuole piacentine sempre più “bravi”: ridotto il gap con gli italiani

GLI ALUNNI STRANIERI NELLE SCUOLE PIACENTINE

Alcuni dati di contesto sono sempre importanti per evitare che quando si parla di scolarizzazione di bambini o adolescenti provenienti dall’estero o nati in Italia da famiglie straniere scattino meccanismi di difesa e la preoccupazione sia soltanto la loro distribuzione nelle classi perché tale presenza non “rallenti” l’attività didattica.

Piacenza è la seconda città dopo Prato con il più alto numero di alunni in queste condizioni, con una più accentuata eterogeneità di provenienze, che all’inizio potevano destare qualche disorientamento, ma che piano piano si stanno rivelando una ricchezza, sia sul piano interlinguistico che interculturale.

La nostra città si trova in una regione che ha il più alto numero di stranieri in aula, l’unica che vede una crescita complessiva della popolazione scolastica, a fronte di un calo generalizzato, già iniziato negli anni precedenti e destinato ad aumentare in quelli successivi. Nel giro di una generazione, afferma Romano Prodi, in Italia perderemo un numero di abitanti pari a quello dell’Emilia Romagna, perciò sarà necessario un forte flusso di migranti altrimenti non avremo nessuna possibilità di portare avanti la vita economica del Paese.

La Fondazione Agnelli ci dice che nel prossimo decennio caleranno un milione di giovani in età scolare; ci saranno 55000 cattedre in meno con un sostanziale raffreddamento della mobilità territoriale dei docenti ed un risparmio di circa due miliardi l’anno, che il Governo ha già contabilizzato nel recente Documento di Economia e Finanza.

L’Unioncamere regionale prevede che nel 2038, il 33% dei piacentini avrà più di 65 anni, il 25% sarà straniero ed i ragazzi immigrati supereranno il 50%. Nella scuola dell’infanzia c’è una presenza del 15,5%, nel primo ciclo del 21,6%: il 65,9% è nato in Italia ma non ha la cittadinanza.

L’osservatorio sull’immigrazione dell’Emilia Romagna evidenzia che in una Regione dove c’è una buona occupazione, nel secondo ciclo vengono preferiti dalle famiglie in entrata indirizzi tecnico-professionali, per un rapido avviamento al lavoro, ma i loro figli nati qui tendono ad esprimere preferenze più simili agli italiani, per i licei, in particolare lo scientifico. Sono quasi scomparse le scuole che non hanno stranieri.

La politica però sembra rimasta ancora prigioniera degli stereotipi, senza curarsi dell’enorme progresso fatto dalla scuola e dagli insegnanti nell’accoglienza, nei rapporti con le famiglie, con l’aiuto dei mediatori interculturali, nell’integrazione guardando soprattutto all’apprendimento della lingua italiana, ma valorizzando lo scambio con quelle di provenienza, con il risultato di facilitare il rapporto con le lingue veicolari, dimostrato ad esempio nelle prove esterne di inglese, e la costruzione di un curriculum didattico interculturale.

Gli insegnanti hanno saputo cogliere l’opportunità innovativa di questa mescolanza di etnie, culture e lingue, senza insistere in modo pregiudiziale sull’omologazione al nostro riferimento culturale, facendo fare un salto di qualità al nostro sistema scolastico verso l’internazionalizzazione.

Tutti i dati “critici” che si registrano nella carriera dei “nuovi” alunni emiliano-romagnoli hanno dimostrato il progressivo allineamento agli italiani, pur tenendo conto della rigidità della nostra struttura scolastica, quanto a ripetenze, ritardi e dispersione.

E’ di soddisfazione vedere il successo nella scuola primaria dove i diversi ingredienti della formazione: socializzazione, conoscenza, crescita ed orientamento personale si combinano in maniera efficace fino a segnalare quello che si definisce “valore aggiunto” dalla prima alla quinta. Un’ottima base per continuare il percorso anche se nella scuola secondaria gli alfabeti disciplinari comportano maggiori difficoltà per chi ha riferimenti culturali molto diversi rispetto alla nostra storia.

Per gli studenti stranieri le ripetenze nel secondo ciclo vanno dal 18,07% in prima al 4,34% in quinta. Nella secondaria di primo grado in soli tre anni dimezzano: dal 6,28% al 3,91%. I casi di ritardo per questi alunni, soprattutto neoarrivati, in quanto inseriti nella classe precedente a quella di età della scuola media sono del 29,2%, in calo negli anni successivi. L’abbandono degli studi si verifica nel 3,2% del predetto grado di scuola e nell’11,3% delle superiori. Dati in linea con il sistema nazionale non condizionati dalla diversa provenienza.

Nelle prove esterne dell’INValSI, nella scuola primaria piacentina, gli stranieri di seconda generazione possono competere con gli italiani soprattutto in matematica e tra la seconda e la quinta classe fanno registrare un notevole miglioramento. Entrando nel dettaglio dei risultati nelle suddette prove somministrate ad alunni della prima della scuola media “Anna Frank”, che a Piacenza è stata impegnata sul fronte dell’integrazione fin dalla prima ora, una ricerca (2012) aveva messo in evidenza che in italiano nella comprensione del testo il 63% aveva risposto esattamente e nella prova di grammatica il 66,88%. In matematica il 45% e la media dei voti nelle altre materie attribuiti dagli insegnanti di classe è oltre la sufficienza, così come nel comportamento.

La differenza tra stranieri e italiani esiste ma non è così quantitativamente significativa e nemmeno sempre a vantaggio dei secondi. Non vi è dubbio che tali dati siano influenzati dal contesto socio-economico-culturale delle famiglie. Il rapporto nazionale INValSI di quell’anno sottolinea che gli studenti immigrati tra prima e seconda generazione riducono le distanze rispetto agli italiani di 3,3 punti in italiano e di 0,9 in matematica, segno di un buon lavoro delle scuole nell’integrazione.

Sul piano delle relazioni sociali un recente studio degli allievi del liceo “Colombini” evidenzia che gli studenti piacentini accettano maggiormente la presenza degli immigrati rispetto agli adulti e vedono la questione non tanto un problema quanto un’opportunità. Non sono una minaccia per gli italiani in cerca di impiego. Mentre gli adulti di fronte ad un 8,3% reale percepiscono una migrazione attorno al 24,6%, i giovani hanno una percezione del 12% a fronte del 14% di realtà. Gli immigrati non aggravano i problemi legati alla criminalità, ma arricchiscono la nostra vita culturale.

A giudicare da questi diversi risultati a Piacenza i giovani sono affidabili e gli stranieri intenti a garantire la continuità sul piano demografico e formativo.

Gian Carlo Sacchi

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