Struzzola: “Liberalizzazione: perché solo nel commercio?”

Intervento di Giovanni Struzzola, direttore Unione Commercianti Piacenza, in merito al decreto sulle liberalizzazioni.

Intervento di Giovanni Struzzola, direttore Unione Commercianti Piacenza, in merito al decreto sulle liberalizzazioni
 
Il provvedimento di liberalizzazione del commercio contenuto nell’ormai famoso decreto “Salva Italia” suscita moltissime perplessità ed offre motivi di riflessione che ritengo vadano tenute in debita considerazione.
Prima cosa in questi anni il commercio ha dimostrato di essere un settore allineato ai tempi ed in continua evoluzione seguendo le trasformazioni sociali ed i comportamenti d’acquisto dei consumatori, garantendo una presenza sempre orientata ad un pluralismo distributivo in grado di soddisfare il consumatore, sia in termini di diffusione, presenza e radicamento sul territorio, che di formati, tipologia e prezzi di vendita.
E’ nel commercio in cui si è fortemente operato con processi di liberalizzazione , a partire dalla prima riforma Bersani nel 1998.
Che il settore sia già ampiamente liberalizzato lo dimostra anche l’ampio turnover di chiusure e aperture di centinaia di imprese all’anno anche nella nostra realtà provinciale.
Si rileva, inoltre, da una ricerca che il Centro di formazione management del terziario ha effettuato ultimamente, che il commercio al dettaglio, sia piccolo che grande, è tra i settori che ricevono il più alto gradimento da parte delle famiglie, con un ranking per il 2010 pari a 72 su 100. Di contro banche ed assicurazioni raccolgono un punteggio di 61, mentre energia, gas, poste, uffici pubblici 59 ed i trasporti (mezzi pubblici locali e treni) 58. Non è, dunque, un caso che i settori i cui servizi sono meno graditi alle famiglie coincidano con quelli nei quali, come puntualmente segnala l’Antitrust, esiste ancora un forte deficit di concorrenza e che, quindi, andrebbero velocemente liberalizzati.
Tornando al discorso della liberalizzazione nella distribuzione commerciale, il sistema italiano, fatto di piccole, medie e grandi imprese che si confrontano in un mercato pienamente competitivo, assicura oggi ai consumatori livelli di servizio fra i più elevati in Europa: l’orario di apertura giornaliero può coprire fino a 13 ore di servizio continuato, nella fascia compresa tra le 7 e le 22; le aperture nelle giornate domenicali e festive sono mediamente una ventina e, in deroga, le aperture sono sempre possibili nei centri storici delle città d’arte e nelle località turistiche.
Spesso citano l’esempio dell’Europa. Ma se ben guardiamo ad essa, recepiamo in modo corretto le indicazioni: nessun limite orario giornaliero, salvaguardando il principio dell’apertura per deroga nelle giornate domenicali e festive. Così avviene, ad esempio, in Francia ed in Germania. Il Governo Monti, invece, ha scelto la via della completa deregolamentazione dell’attività anche nelle giornate domenicali e festive, ma questo non lo si fa ne in Francia e ne in Germania.
Il “sempre aperti”, ventiquattro ore su ventiquattro e 365 giorni all’anno, è una condizione insostenibile. Lo è per le piccole imprese, che saranno strette nella morsa tra la rinuncia al diritto al riposo ed alla vita privata familiare, da una parte, e la dolorosa rinuncia all’attività, dall’altra.
Rischio conclamato è quello di vedere nei prossimi mesi tante saracinesche abbassate impoverendo così, di fatto, la ricchezza del modello italiano di pluralismo distributivo.
Non ne guadagnerebbe neppure la concorrenza, non ne guadagnerebbe altresì la qualità del servizio. Del resto, penso che il “sempre aperto”  sia difficilmente sostenibile anche per la distribuzione organizzata: dovrà fronteggiare, per assicurare una simile tipologia di servizio, costi crescenti, a partire da quello del lavoro dipendente.
Ritengo, invece, che il senso delle liberalizzazioni dovrebbe essere quello di rendere migliore la vita dei cittadini; in altri termini di accrescere il benessere economico. Ognuno di noi ha ben chiaro in mente un’agenda delle liberalizzazioni prioritarie, tra le quali certamente non compare ai vertici il settore più concorrenziale che ci sia oggi in Italia, appunto il commercio.
In questo delicatissimo momento economico che l’Italia, sta attraversando è fondamentale puntare alla crescita delle esportazioni ed altresì aumentare la domanda interna, in particolare accrescere i livelli dei consumi ormai in recessione. Questa incursione violenta nel campo della libera iniziativa commerciale, certamente non facilita la crescita, ma accresce l’incertezza sul futuro e peggiora le aspettative delle imprese e delle famiglie.
 
 
Giovanni Struzzola, direttore Unione Commercianti Piacenza          

Liberalizzazioni, Cavalli (Lega Nord): “Da manovra di Monti colpo di grazia per i negozianti”
 
«Liberalizzando gli orari di apertura, – dichiara Stefano Cavalli, consigliere regionale della Lega Nord e piccolo commerciante – il Governo Monti ha la chiara intenzione di aiutare i suoi amici della Grande Distribuzione, i quali, attraverso la turnazione, potranno rispettare orari assai più elastici. Un’ulteriore concorrenza sleale a danno dei già tartassati piccoli commercianti che, per ovvie ragioni, non potranno ricorrere alla medesima escamotage. È assolutamente falso, quanto affermato dal Governo Monti, cioè che la misura farà aumentare i consumi: è come dire – spiega l’esponente del Carroccio – che le famiglie mangerebbero più carne se il macellaio restasse aperto fino alle 10 di sera. È chiaro che negozi aperti fino a tardi sono un’indiscutibile comodità per i consumatori ma il prezzo da pagare in termini sociali ed occupazionali – sottolinea Cavalli – sarebbe altissimo: molti negozi che, ricordiamolo, rappresentano un importante presidio territoriale,  dando vita e luce alle strade. Se queste attività dovessero chiudere lascerebbero posto al degrado urbano. L’incremento della già alta quota di mercato della GDO, inoltre, avrebbe ovvie conseguenze anche sulla società, più lavoratori precari che operano su turni spesso sfiancanti e stipendi poco gratificanti. Finora – aggiunge il leghista – spettava agli enti locali la gestione degli orari e delle aperture festive e, secondo noi, agli stessi enti locali (che sanno quando e dove la chiusura influisce negativamente sui consumi) dovrebbe restare questa competenza. La Lega Nord da sempre si è battuta e si batterà al fianco dei piccoli imprenditori, a tutela dei lavoratori. Per queste ragioni – conclude il consigliere regionale – a breve presenteremo una risoluzione per impegnare la Giunta regionale a fare fronte comune con Piemonte, Toscana, Veneto, Lazio e Puglia a contrasto della dannosa deregulation.»
 
 

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