Don Aniello, prete anticamorra: “Disagio sociale terreno fertile per la mafia” foto
Il sacerdote, per 16 anni a Scampia, ha raccontato la sua esperienza al Festival delle Nuove Resistenze: "La camorra in quei territori diventa ammortizzatore sociale offrendo denaro e lavoro a persone in situazioni di forte disagio"
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“Quando sono arrivato a Scampia – ha spiegato il prete, che ha denunciato piazze di spaccio e ha strappato al “sistema” tantissimi giovani – avevo forti pregiudizi che ho superato vedendo la sofferenza della gente, in tanti casi tenuta sotto scacco dalla camorra che decide ad esempio se un commerciante può aprire un’attività o un ambulante può avere un banco sul mercato”. Una camorra che “trova terreno fertile in una situazione sociale di grande difficoltà, in una zona che conta un tasso di disoccupazione del 75% con tantissimi giovani che non frequentano le scuole”. In questo senso, ha aggiunto, “la mafia in quei territori diventa una sorta di ammortizzatore sociale offrendo denaro e lavoro a persone in situazioni di forte disagio e sostituendosi alle amministrazioni locali, autrici spesso e volentieri di scelte scellerate sul territorio”.
Don Aniello ha parlato anche di immigrazione: “L’integrazione deve avvenire attraverso la scolarizzazione, per questo ritengo che i bambini nati in Italia debbano avere la cittadinanza del nostro paese, primo passaggio per una futura integrazione con le nostre usanze e la nostra cultura. Spero che le parrocchie possano sempre più proporre esperienze ed inizative volte proprio nella direzione dell’integrazione fra culture diverse. L’incontro è stato preceduto da un reading su Giorgio Marincola, partigiano italo – somalo, a cura del collettivo Alma Clan
Ieri, in una giornata ricca di appuntamenti, ospite d’onore è stato Moni Ovadia, che ha portato in scena il suo spettacolo (nelle foto) dal titolo “Cantavamo, cantiamo, canteremo”, viaggio musical teatrale tra le canzoni popolari di fine 800/inizio 900 in Europa e nel mondo.
Città “resistenza” e “nuove migrazioni” intende raccontare i mutamenti avvenuti in città connessi alla costante crescita dell’immigrazione nel corso degli ultimi trent’anni. Al centro del discorso non è tanto l’immigrazione in sé, né il panorama urbano nel suo complesso, ma piuttosto il nesso vitale che unisce la città e le migrazioni.
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