Siria, i dittatori non vanno in vacanza IL COMMENTO

Proprio oggi arriva da Damasco la notizia della morte di una celebre giornalista, Mika Yakamoto, vincitrice del premio Pulitzer giapponese. E’ l’ennesima vittima da una vera e propria guerra civile, che diventa di giorno in giorno sempre più cruenta

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SIRIA: I DITTATORI NON VANNO IN VACANZA di Massimo Tibaldi

Proprio oggi arriva da Damasco la notizia della morte di una celebre giornalista, Mika Yakamoto, vincitrice del premio Pulitzer giapponese. E’ l’ennesima vittima da una vera e propria guerra civile, che diventa di giorno in giorno sempre più cruenta. Le vittime sono già 18.000 e gli sfollati oltre 170.000. Il dibattito sembra ormai giunto all’ora della verità. Bisogna intervenire o meno in Siria, come è stato fatto l’anno scorso in Libia per sostenere i ribelli contro la dittatura di Gheddafi?

La domanda arriva probabilmente in un momento in cui noi tutti ci sentiamo presi da altri interrogativi. C’è chi è in vacanza, c’è chi è tornato da poco al lavoro e c’è chi invece cerca di godersi il meritato riposo anche in città, dopo un anno molto difficile dove per molti arrivare a fine mese è stata un‘impresa. Ferragosto o meno, Bernand Henry-Levy, celebre filosofo à la mode oltrealpe, in un articolo apparso la settimana scorsa anche sul Corriere della Sera, sostiene invece che “i dittatori non vadano in vacanza” e che bisogna mantenere alta la soglia di attenzione nonostante che sia agosto e tempo di “disimpegno”. Secondo Henry Levy, bisogna intervenire oggi in Siria come ieri in Libia, sia per coerenza rispetto all’azione dell’anno scorso così come per difendere il popolo siriano da ulteriori massacri.

Diversamente però dalla Libia, in questo caso non vi sarebbe alcuna legittimazione da parte delle Nazioni Unite per intervenire nella guerra civile. Nonostante che una commissione delle Nazioni Unite abbia riscontrato gravi violazioni dei diritti umani sia da parte dal regime che da quella dei ribelli, il “veto” della Russia e della Cina ha impedito sino ad ora di arrivare a qualunque soluzione diplomatica. Kofi Annan, l’ex segretario delle Nazioni Unite, si è dimesso da una missione dell’Onu che non è riuscita a trovare alcun compromesso tra le parti in causa nel conflitto. Ancora una volta, il “palazzo di vetro”, come in tantissimi altri casi, che doveva porsi a guardia della pace internazionale non è riuscita a trovare una soluzione al problema. La nuova missione di Brahimi sembra ugualmente destinata all’insuccesso, con il regime di Assad che lo ha attaccato duramente già in questi primi giorni. Ma di chi è la colpa di questo immobilismo?

La Russia, certamente, che non vuole perdere un alleato importante nel Mediterraneo. La Cina vuole evitare di indebolire implicitamente l’Iran, alleato di Assad. Sembra ormai che a difesa di Damasco siano sempre più numerosi i “guardiani della rivoluzione” giunti direttamente dal paese degli Ayatollah. Gli Stati Uniti, fanno ancora fatica ad uscire dalla crisi economica e non possono permettersi un altro intervento militare dopo quelli fallimentari in Afghanistan ed Iran. Oltretutto a novembre ci saranno nuove elezioni ed Obama non può assolutamente rischiare di perderle prima con delle posizioni rischiose. Il presidente americano è stato costretto ad uscire dal silenzio e ha dichiarato che l’utilizzo delle armi chimiche sarà una “linea rossa” che porterà Washington a “cambiare posizione”, senza però precisare “concretamente” cosa vuole fare.

E l’Europa ? Niente di nuovo sotto il sole. Ancora una volta i suoi problemi interni rendono impossibile per il nostro continente impegnarsi per il destino di un paese come la Siria, di cui sappiamo ben poco e di cui in fondo, probabilmente, la sorte non ci interessa granché. Bene o male le nostre vite continueranno a seguire più o meno lo stesso percorso, al di là di quanto accadrà a Damasco o di quanto decideranno a Washington o a Pechino.

Il capo delle truppe dell’esercito per una Siria libera ha già chiesto aiuto all’occidente, dicendo che se non interverrà, Aleppo potrebbe diventare una nuova base per Al Qaeda. Secondo numerose testate internazionali, i ribelli siriani sono fino ad ora stati aiutati economicamente e finanziariamente dall’Arabia Saudita, che sponsorizza una visione molto “conservatrice dell’Islam” e che mira ad istaurare un regime “fratello” nel cuore del mondo arabo. Non a caso la Siria è stata espulsa dall’Oci, una organizzazione regionale sponsorizzata proprio dai sauditi.
Il dibattito nel resto del mondo sta cominciando ad uscire dalle cancellerie, dai ministeri e dalle ambasciate creando una forte reazione emotiva nel pubblico. “La Aleppo di oggi è la Bengasi di ieri” scrive Bernand Henry Levy. In Italia invece, la discussione, riuscirà ad appassionare l’opinione pubblica?

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