Ikea, Bricchi (Pd): “Iter disciplinare delle coop rispettoso della legge”

"I lavoratori coinvolti nella procedura disciplinare - precisa Bricchi - si sono resi responsabili non di aver scioperato ma di aver prima regolarmente timbrato il cartellino, per poi prendere servizio rallentando però la produzione, o non prendendolo affatto andandosi a sedere in mensa"

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“L’iter disciplinare avviato dalle cooperative è stato pienamente rispettoso delle previsioni di legge e di contratto. È quindi ora che l’opinione pubblica conosca le ragioni del – solo – provvedimento disciplinare espulsivo adottato: quel – solo – licenziamento è conseguenza del fatto che il lavoratore in questione avrebbe malmenato una collega. Forse Aldo Milani avrebbe dovuto fornire all’opinione pubblica questa “dirimente” circostanza”. Così Michele Bricchi (Pd), presidente della Commissione allo Sviluppo Economico, risponde alle recenti dichiarazioni rilasciate dal responsabile dei Cobas Aldo Milani in merito alla vertenza in atto al deposito Ikea di Piacenza.

“I lavoratori coinvolti nella procedura disciplinare – precisa Bricchi – si sono resi responsabili non di aver scioperato – ciò che, infatti, è perfettamente legittimo – ma di aver prima regolarmente timbrato il cartellino, per poi prendere servizio rallentando però la produzione, o non prendendolo affatto andandosi a sedere in mensa. Forse Aldo Milani avrebbe dovuto fornire anche questa circostanza all’opinione pubblica, le cui convinzioni altrimenti rischiano di essere appunto distorte dalla sua sola “testimonianza””.

“Ancora, chi si occupa professionalmente di cassa integrazione – e, dunque, non per mera “vetrina” – sa perfettamente che l’apertura della procedura avviene in base a circostanze contingenti, senza che vi sia poi obbligo di effettivo utilizzo. Semmai, la cassa integrazione rappresenta uno strumento di tutela dell’occupazione e del reddito dei lavoratori senza il quale, in caso di riduzione del lavoro, gli stessi si vedrebbero proporzionalmente “impoveriti”. Come è certo che durante la cassa integrazione sia possibile fare straordinari, in particolare se le cause che ne legittimavano la richiesta vengano meno. Aldo Milani, dal canto suo, potrebbe chiarire all’opinione pubblica come mai, fino ad oggi, il S.I. Cobas si è sempre opposto alle garanzie offerte dalla cassa integrazione: forse perché non potendo firmare il verbale di richiesta, non avrebbe poi avuto titolo per tornare da quegli stessi lavoratori dimostrando loro di averli concretamente rappresentati e tutelati?”.

“Ci sarebbero – prosegue – poi altri capitoli da chiarire. Come quello sugli incontri con le istituzioni, tra cui quello presso la Provincia di Piacenza sulla procedura disciplinare allorquando i lavoratori sospesi, assistiti dai S.I. Cobas, si sono evidentemente presentati al tavolo della discussione impreparati e, messi alle corde dalle loro stesse “ammissioni”, hanno ben pensato di abbandonarlo adducendo un “clima di ricatto”. Curioso escamotage, visto che si trattava di un appuntamento concordato nei tempi e nell’ordine del giorno (relativo, appunto, alla discussione delle “giustificazioni” in risposta alle contestazioni disciplinari, e non definito per “trovare una soluzione politica” alla situazione, tema che non trova cittadinanza in un contesto sindacale)”.

“C’è però un punto su cui, come PD, non possiamo e non vogliamo attendere ulteriori sproloqui prima di reagire: Aldo Milani, con l’intervento di giovedì 6 dicembre, ha dato prova di non conoscere né la “serietà e coerenza” del Sindaco Paolo Dosi (o, anche solo, di rispettarne il profilo istituzionale, nonostante in più occasioni questi si sia speso nella vicenda. In effetti, potrebbe averlo fatto anche solo stimolato dalla sua “alta remunerazione” che, per la cronaca, è nota e paragonabile a quella di un bravo impiegato di una buona aziendina locale), né il significato di parole – o, meglio, di fatti – “di sinistra” (altrimenti si occuperebbe in altro modo dei lavoratori utilizzati in Ikea, magari evitando di finire, presto o tardi, vittima del “fuoco amico”, come già gli è successo a Pomigliano d’Arco nella primavera 2010), né la drammatica situazione del Paese (dove il tasso di disoccupazione giovanile a ottobre 2012 si è attestato al 36,5%, il livello più alto dall’inizio delle serie trimestrali dell’ottobre 1999)”.

“Ma, soprattutto, Aldo Milani non può permettersi di dire che il PD è al soldo dei “padroni”, quali che essi siano: a differenza di altri “corpi intermedi”, politici o sindacali, il PD agisce per il “bene comune”, conosce valori quali responsabilità e concretezza e utilizza strumenti quali mediazione e dialogo. Il PD si candida a rilanciare il Paese, non si ridicolizza nel fare propaganda autoreferenziale davanti ai cancelli delle fabbriche o nel raccontare il libro dei sogni alla televisione. E, comunque, non permette a nessuno di farlo”.

“Diversamente, Aldo Milani intuirebbe quanto sia oggi prezioso conservare, sul nostro territorio, investimenti e occupazione, guardandosi bene dal metterli in discussione. Anche perché, in tutta onestà, non ci pare proprio che Ikea sia il luogo dove si pratica quel temuto “effondrement” del diritto del lavoro che Gérard Lyon-Caen profetizzava già nel lontano 1978 dalle colonne di Le Monde (quale è stato ed è, in altre vicende forse meno “limpide”, l’atteggiamento dei S.I. Cobas?). Piuttosto, se è vero come è vero che Ikea può, legittimamente, spostare la produzione altrove (perché nulla può vietarle una tale decisione. Ci mancherebbe altro. E, in ogni caso, sarebbe cosa ben diversa rispetto a quegli imprenditori che minacciano di delocalizzare in Romania per beneficiare di una fiscalità più “accomodante”: di questi imprenditori non ne abbiamo bisogno, e non ne sentiremmo nemmeno la mancanza. Bon voyage), è però altrettanto vero che, se non costretta a farlo da un contesto “ostile”, non lo farà. Anzi, ci sono ragionevoli prospettive per immaginare ulteriori investimenti e assunzioni”.

“A meno che – conclude Bricchi – Aldo Milani voglia continuare a portare avanti questa sua personalissima battaglia – salvo poi fare, tra le sue mura domestiche, un bel cenone di Natale con qualche centinaio di ospiti freschi freschi di licenziamento – lo invitiamo formalmente ad essere più rispettoso dei suoi interlocutori, e attento a non imbarazzare o, peggio ancora, pregiudicare oltre il nostro territorio”.

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