Liberazione, Cravedi (Anpi): “Ribellatevi a chi calpesta la democrazia” FOTO E VIDEO foto

A Piacenza si celebra il 68° anniversario della Liberazione d’Italia. Ad aprirli il tradizionale corteo prima della cerimonia in Piazza Cavalli

Piacenza celebra il 68° anniversario della Liberazione d’Italia. Con il tradizionale corteo partito alle 10 dal Pubblico Passeggio sull’accompagnamento musicale della Banda Ponchielli, che ha effettuato una prima sosta lungo corso Vittorio Emanuele, per la deposizione della corona d’alloro al monumento ai Caduti della Resistenza.

All’arrivo in piazza Cavalli, sono state deposte corone d’alloro presso il Sacrario dei Caduti sotto i portici di Palazzo Gotico, prima dei discorsi istituzionali. Mario Cravedi, presidente di Anpi Piacenza, ha introdotto la cerimonia ricordando la figura del partigiano Paolo Araldi, carabiniere e noto come il comandante “Paolo”, che al momento di essere giustiziato chiese di essere fucilato di fronte e non alla schiena. Cravedi ha citato la testimonianza del cappellano militare Giuseppe Bonomini presente all’esecuzione del 7 febbraio del 1945. Paolo Araldi, mentre fumava l’ultima sigaretta volle annoverare tutte le sue imprese nella guerra di Liberazione e salutare uno ad uno i militari incaricati della sua fucilazione. “Voi siete miei nemici – disse lotro – ma vi voglio dare la mano perché salutando voi mi congedo anche dai miei compagni di lotta. Di fronte a quello più giovane disse: smettila di fucilare sei troppo giovane per fare questo mestiere”.

“Io non mi volto, voltatevi voi”, disse poi Paolo ai suoi esecutori che volevano fuciarlo di spalle, e prima di morire riuscì a gridare con tutta la voce che aveva “Viva l’Italia”. “Le figure di questi eroi della Resistenza – ha detto Cravedi ricordando i comandanti partigiani Alpini protagonisti della resistenza Aquila Nera e Italo Londei – dovrebbero essere conosciute nelle scuole. Sono storie di giovani che scelsero di affrontare il fascismo a viso aperto: Araldi non aveva paura di morire perché sapeva che il suo sacrificio sarebbe servito a far rinascere il nostro paese”. “Ribellatevi sempre – ha detto rivolgendosi ai ragazzi – a chi non vuole la democrazia a chi non riconosce il valore del lavoro”.

Sul palco, accanto ai rappresentanti delle istituzioni e allo stesso Mario Cravedi, sono stati chiamare a presenziare alcuni partigiani: Agostino Covati, Ettore Carrà, Gaetano Cella, Renato Cravedi, Giulio Donazzi, Nando Franchini, Ugo Magnaschi, Simone Pancera, Bruno Pancini, Franco Piva, Aldo Prati, Angelo Scacchi e Igino Sordi. Insieme a loro due studenti che hanno preso parte al viaggio della memoria a Fossoli: Mattia Raggio per il liceo Gioia ed Edoardo Pivoni per il liceo Cassinari.

Alle 11, nella basilica di San Francesco, la tradizionale cerimonia religiosa. Piazza Cavalli è stata animata dall’evento “100 chitarre 1000 voci per la Resistenza”, happening-concerto collettivo aperto a tutti i cittadini che, con il loro strumento musicale e la loro voce, hanno cantare gli ideali della Resistenza. Dalle ore 17, in piazzetta delle Grida si terranno i laboratori creativi per bambini “Colori e parole per raccontare e ricordare”, mentre alle 18.30 l’appuntamento sarà con l’aperitivo popolare con Marco Sutti featuring Tuzin from D.L.Bopre. La giornata terminerà alle 21.30 in Piazza Cavalli con il concerto della band romagnola Nobraino, formazione folk-rock tra le più apprezzate nel panorama musicale italiano, conosciuta per i suoi live adrenalitici e fuori dagli schemi.


IL DISCORSO UFFICIALE DEL SINDACO PAOLO DOSI

Autorità, Cittadine e Cittadini di Piacenza,
celebrare il ricordo del 25 aprile 1945 significa, per tutti noi, ribadire il valore storico, politico e civile di una data che, nel nome della libertà, segnò per l’Italia l’avvio di un’epoca nuova. Svilito e devastato dal ventennio della dittatura fascista e da una guerra terribile, dalla quale uscì profondamente distrutto, quel giorno il Paese potè volgere finalmente lo sguardo all’orizzonte della democrazia, avviandosi a un percorso di riconciliazione e ricomposizione dell’unità nazionale che ancora oggi, a 68 anni di distanza, costituisce un insegnamento prezioso e un fondamento irrinunciabile della nostra Repubblica.
In un periodo di crisi che deriva non soltanto dalle difficoltà di un’economia che non riesce a risollevarsi, ma segna innanzitutto lo smarrimento dei valori e degli ideali portanti del nostro sistema sociale, avvertiamo più che mai il bisogno di ritrovare quel filo conduttore che, dalle gesta del Risorgimento alla lotta per la Resistenza, condusse alla rinascita della nazione, sospinta in primo luogo dalla responsabilità e dalla consapevolezza del suo stesso popolo. Quegli stessi punti di riferimento, oggi, possono aiutarci a contenere e contrastare l’acuirsi delle incertezze individuali e collettive, la crescente e diffusa sfiducia verso le istituzioni, la deriva demagogica di sentimenti e pensieri populisti.

Come ha affermato, nel suo discorso di giuramento, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, “Bisogna dunque offrire, al Paese e al mondo, una testimonianza di consapevolezza e di coesione nazionale, di vitalità istituzionale, di volontà di dare risposte ai nostri problemi: passano di qui una ritrovata fiducia in noi stessi e una rinnovata apertura di fiducia internazionale verso l’Italia”. Possiamo riuscirvi, tuttavia, solo recuperando il senso di un’autentica solidarietà e coesione, a tutela dei più deboli, come seppero fare allora le formazioni partigiane che nelle campagne, sui nostri monti, nelle cento città del Paese, affiancando le truppe alleate giunte a supporto dell’Esercito italiano, non esitarono a mettere a repentaglio la propria vita per liberare i territori dall’oppressione nazifascista. Nella commemorazione commossa e partecipe dei Caduti, rievochiamo il coraggio e la dedizione assoluta dei giovani e dei padri di famiglia, delle donne che furono straordinarie protagoniste in prima linea in questo doloroso e altissimo cammino, degli intellettuali che non ebbero paura di schierarsi contro la dittatura, dei sacerdoti che difesero fino all’ultimo istante la centralità dell’uomo e rifiutarono di vederla schiacciata e annichilita dalla brutalità di un’ideologia fondata sulla violenza.

Rendiamo il nostro omaggio più sincero, oggi, a tutti i partigiani, alle persone comuni barbaramente assassinate per aver difeso il diritto alla libertà, il cui nome è inciso nelle radici della nostra democrazia. Voglio citare, adducendoli ad esempio per tutti coloro di cui non pronunciamo il nome, pur portandoli nel cuore, don Giuseppe Borea, Piero Bessone, Angelo Chiozza, l’umanista Luciano Bertè, Pietro Cornelli, Raffaele Cerlesi, il giovane studente universitario Giannino Bosi e l’avvocato Francesco Daveri.
Fu anche grazie alla loro scelta di coerenza e consapevole sacrificio, che il 25 aprile del 1945, all’indomani dell’ordine di insurrezione generale delle forze della Resistenza emanato dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, molte città del Nord, grandi e piccole, vennero liberate prima ancora dell’arrivo delle forze alleate. Piacenza avrebbe ritrovato la propria indipendenza tre giorni più tardi, il 28 aprile. E fu con lo stesso amor di patria che già le rese l’appellativo di Primogenita nel 1848, che nell’amaro tributo di tanti suoi figli scrisse le ragioni di quella Medaglia d’oro al Valor militare per la Resistenza che le sarebbe stata assegnata, oltre cinquant’anni più tardi, dall’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro.

In quella primavera del 1945, che mai come allora fu reale e non solo metaforica espressione di rinascita, gli italiani che poterono salutare la fine della lunga e sofferta occupazione si unirono in cortei spontanei, esultanti. Fu, come deve essere oggi per tutti i cittadini di questo Paese, la festa della democrazia, della libertà, della pace. Di una nuova coscienza di popolo che in questa ricorrenza vogliamo riaffermare e sentire nostra, senza mai dimenticare coloro che resero possibile che ciò accadesse.
Penso alle popolazioni di piccoli centri, come Marzabotto e Sant’Anna di Stazzema, decimate dalle truppe naziste. Ai nostri partigiani falcidiati al Passo dei Guselli, a Strà di Nibbiano, a Monticello. Alle migliaia di connazionali ebrei deportati e sterminati nei campi di concentramento, di cui, autorevole testimone, raccontò la tragedia Primo Levi. A coloro che come lui riuscirono a tornare, portando per sempre sul corpo e nell’anima le ferite di quell’esperienza, dall’inferno dei lager, dove un folle disegno volle far confluire e annientare i portatori di presunte diversità. Alle donne e agli uomini di ogni ceto ed estrazione, alle famiglie che nelle loro case protessero, pagando spesso con la propria vita, i nuclei antifascisti e i custodi della Resistenza.

Vi chiedo oggi un applauso forte e sincero, cittadini di Piacenza, per tutti coloro che salvarono l’onore del nostro Paese consegnandoci un destino di democrazia e libertà che potesse essere tale per tutti, anche per coloro che erano stati sul fronte opposto, che sino al giorno prima erano considerati nemici. Mi riferisco ai nostri partigiani, orgoglioso ed emozionato nel vedere alcuni tra loro accanto a me, su questo palco. E’ nel loro esempio, nella loro generosa dedizione, il senso di una lotta che seppe dare vita alla nuova identità nazionale, fondata su diritti uguali per tutti. Ricordare quei valori e quegli ideali ci permette di capire come, pur in quella situazione di gravissima difficoltà, l’Italia potè rialzarsi e guardare al futuro.

Mi domando, allora, se oggi saprà ritrovare se stesso il nostro Paese, che appare più che mai vittima di un cambiamento epocale, che sembra lasciare poco spazio all’ottimismo. La lotta per la Liberazione ci ha insegnato che, se non riesce a difendere i propri ideali, un popolo è destinato ad essere servo, a spegnersi, a lasciar soffocare ogni anelito di indipendenza, di autonomia. Ricordiamolo, in questo nostro tempo che ci chiede di risvegliare gli ideali di allora, riportandoli nel presente e riconquistandoli ogni giorno, perchè è nelle scelte quotidiane, nella costante riaffermazione di libertà, equità e giustizia che si ricostruisce e si consolida una democrazia. E, come ha detto pochi giorni fa il nostro presidente Giorgio Napolitano, “Non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva, per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile, per sopravvivere e progredire, la democrazia e la società italiana”.
In questa giornata di celebrazioni e di gioiosa condivisione, ogni piazza gremita è simbolo di unità, di amicizia, della ricerca di un dialogo tra posizioni politiche diverse che, in ambito locale come a livello nazionale, possono trovare nella ricorrenza del 25 aprile il momento dell’incontro, la coscienza di una responsabilità che ci accomuna. Anche per questo, facciamo sì che non venga mai meno la memoria dei conflitti, delle tragedie cui siamo sopravvissuti e del sacrificio dei Caduti: è nella memoria, che ci viene restituito il significato profondo del rispetto e del senso di appartenenza alle istituzioni democratiche, che i nostri partigiani hanno amato, difeso e accompagnato perché potessimo ricostruire una società capace di garantire la convivenza civile, la pace, la libertà. Non disperdiamo quel vento che soffiò il 25 aprile, non dimentichiamo. Mai.

Viva la Resistenza. Viva la Repubblica. Viva l’Italia libera e unita.

IL DISCORSO DEL PRESIDENTE DELLA PROVINCIA TRESPIDI
Autorità, rappresentanti delle associazioni partigiane, combattentistiche e d’arma, cittadine e cittadini,
celebriamo oggi il 68esimo Anniversario della Liberazione del nostro Paese e della nostra gente dall’occupazione nazifascista e dalla guerra. Qui insieme oggi partecipiamo ad una vera e propria festa, a quel 25 Aprile che da ben oltre mezzo secolo simboleggia la ritrovata libertà e la base di una rinnovata e rinsaldata unità nazionale.

Liberazione. E’ questa la parola su cui oggi occorre riflettere e posare l’attenzione. La Liberazione di ieri, quella del 1945, da un lato ha segnato per il popolo italiano l’uscita da uno stato di dittatura e da una condizione non pacifica che insieme hanno devastato e ferito nel profondo il nostro Paese e dall’altro ha rappresentato l’avvio di un percorso storico culminato con la nascita della Repubblica e la stesura della nostra attuale Costituzione. Quel lontano 25 Aprile è stato uno dei momenti più vivi e più intensi della coesione nazionale di intenti e di uomini che oggi – in modo rinnovato grazie all’anniversario dei 150 anni dell’unità d’Italia da poco celebrato – ha il dovere di fortificarsi. Doveroso, nel ricordo di quello che è stato, è il tributo a quanti combatterono tra le schiere della Resistenza, a tutti quegli uomini e a tutte quelle donne che scelsero di difendere la patria offrendo in cambio la propria vita e la propria fede.

Oggi più che mai si impone la necessità di abbandonare indifferenza e disimpegno, perché il Paese sta affrontando una fase delicatissima nella quale è in gioco il futuro economico, sociale, lavorativo, culturale di uomini, donne e soprattutto giovani. Ci è richiesto dunque uno sforzo congiunto per agire tutti insieme al fine di offrire il nostro contributo al Bene comune nello spirito di un ritrovato orgoglio nazionale. Il nostro Paese, del resto – come ha ricordato qualche tempo fa il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano –  “ha un debito inestinguibile verso quei tanti giovani che sacrificarono la vita per riscattare l’onore della Patria”. Accanto al ricordo e all’omaggio silenzioso di questa piazza verso il sacrificio di chi scrisse la storia della Resistenza – e insieme quella del Paese – occorre mantenere lo sguardo proteso e attento verso i testimoni diretti  – ancora oggi con noi  – che per primi e più di tutti possono indicare la strada per una rinnovata Liberazione: abbiamo il dovere, oltre che lo straordinario dono, di poter ancora oggi ascoltare – dalla viva voce di chi ha vissuto e costruito in prima linea la storia – il racconto di cosa è stata e cosa ha significato per la nostra società la Resistenza.

Arriviamo quindi alla nuova e moderna Liberazione. Oggi come 68 anni fa il popolo italiano avverte forte l’urgenza di una Liberazione dalla profonda difficoltà sociale ed economica in cui è sprofondata. Italo Calvino nella prefazione al suo Il sentiero dei nidi di ragno scriveva – tracciando un ritratto dell’immediato dopoguerra –  che “Nella pace, il fervore delle nuove energie animava tutte le relazioni e invadeva tutti gli strumenti della vita pubblica”. Occorre oggi – al cospetto di un generale stato di scoraggiamento che pervade il Paese – ricercare con perseveranza e impegno il seme di quello stesso fervore per reagire con forza ad un momento di crisi profonda e persistente. Marisa Ombra, partigiana, vicepresidente nazionale dell’Anpi, ha scritto di recente una lettera aperta agli adolescenti di oggi parlando del suo ingresso nella Resistenza: “Nel ’ 43, quando avevo poco più di 17 anni – ricorda – avevamo alle nostre spalle molte macerie e molto veleno. Esattamente come questa generazione. E anche se le macerie adesso non si vedono, sono dappertutto”. E ancora. “Avevamo tutti più o meno vent’anni, l’età in cui, normalmente, ci si innamora. Non c’era proporzione fra la mia piccolissima vita e l’immane disastro che stava avvenendo là fuori. Ecco una ragione per vivere. Era lì davanti a me, intorno a me. Era il mondo. Era il mio tempo. Erano i luoghi e le persone con cui avevo a che fare. Era il mio presente. La mia vita. Non potevo essere indifferente, starne fuori. Dovevo fare qualcosa”.

Da queste stesse parole occorre prendere spunto. Perché ai giovani, che hanno dimostrato nel corso della storia di sapere cosa significa il sacrificio, è necessario accordare una vigile ma larga fiducia tanto nella società civile quanto nella sfera politica e istituzionale che oggi, in un momento che definirei storico per le stesse istituzioni, deve aspirare a rinnovata passione e sincero impegno professionale. Anche nel mondo attuale, del resto, sono tanti i giovani che stanno compiendo con responsabilità pesanti sacrifici: sono loro a sostenere la speranza per il futuro. Occorre che questi stessi giovani non stiano fuori, occorre che nuove e vecchie generazioni insieme trovino il coraggio di “fare qualcosa” combattendo contro un’indifferenza che porta all’immobilismo e non a quel movimento necessario, oggi, a risollevare il nostro Paese, ma prima ancora le singole comunità.

La prima occasione che consentirà a Piacenza di ritrovare quel citato fervore sarà il prossimo 10-11 e 12 maggio in occasione dell’Adunata nazionale degli Alpini. L’Adunata sarà una grande festa di popolo oltre che dimostrazione di una coesione istituzionale e territoriale animata da unità d’intenti e gioco di squadra. La grande scommessa della manifestazione sarà riportare all’attenzione dell’intero Paese e della nostra comunità valori che, oggi più che mai, devono costituire il cuore della società: la famiglia, il valore della persona, la solidarietà, l’aiuto reciproco, l’onestà ma soprattutto la coesione popolare. E, perché no, anche una dose di ottimismo.

Con questo sincero auspicio auguro a tutti voi una buona festa della Liberazione.

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