Diario da Cannes (7), Michael Douglas incanta in “Behind the candelabra”

Il Liberace cui ha dato corpo è davvero un personaggio lontano da macchiette e stereotipi, fatto non scontato, dato che il film presentato in concorso da Soderbergh in un Palazzo del cinema stracolmo di gente e plaudente è un camp-queer movie a tutti gli effetti

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Diario da Cannes, la settima puntata del giornalista Stefano Cacciani direttamente dalla Croisette

Risulta difficile dire che questa è stata la sua migliore interpretazione, solo perché Gordon Gekko, a suo modo, è entrato nella storia come simbolo di un’epoca. E pazienza se la notizia nei giorni scorsi è poi diventata il gesto di commozione che gli ha fatto versare lacrime in sala stampa. Anche i duri piangono alla prima pellicola girata dopo avere superato un cancro alla gola. Ma il Liberace cui Michael Douglas ha dato corpo è davvero un personaggio lontano da macchiette e stereotipi, fatto non scontato, dato che il film presentato in concorso da Soderbergh in un Palazzo del cinema stracolmo di gente e plaudente è un camp-queer movie a tutti gli effetti.

“Behind the candelabra”. Il riferimento è al candelabro che il famoso perfomer Valentino “Lee” Liberace metteva sul pianoforte con cui si esibiva tra i palchi di Las Vegas e la cerimonia degli Oscar. Un film Kitch nei bellissimi costumi. Rischioso, dal punto di vista delle Major americane che lo hanno rifiutato. Oltreoceano le regole dello showbiz valgono anche per attori e registi affermati. Non convinceva nessuno la storia di questo famoso pianista che nascose la propria omosessualità tra gli anni ’50 e i ’70 e della sua relazione con Scott Thorson (Matt Damon), autore del libro da cui è tratto il film. Steven Soderbergh, che in sala stampa ha anche ribadito la volontà di prendersi un periodo di pausa dalla regia, lo ha quindi girato per la HBO in 33 giorni.

Ma il mantello in ermellino da 300mila dollari, gli altri costumi indossati alla grande da Douglas, le plastiche facciali, gli eccessi, le ville dorate, la droga, tutto questo racconta più di una storia d’amore omosessuale con eccessi a corollario, descrive un’epoca dello spettacolo – o piuttosto un suo modo di essere tutt’ora praticato, molto più di quanto non si pensi, chissà… – in cui per preservare il proprio pubblico era necessario nascondere le inclinazioni sessuali. Un biopic davvero bello e coinvolgente, non solo per pubblico omo.

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