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Le recensioni di PcSera: Pale Green Ghosts di John Grant foto

Le recensioni di PcSera scritte per voi da Giovanni Battista Menzani

Sui social tiene banco il caso Biancofiore e la denucia de Il Giornale su una presunta #lobbygay.

Quale miglior presa di posizione, se non la recensione del nuovo album di John Grant.

Ex-leader degli Czars, da Denver, Colorado, Grant si era appena messo alle spalle una fase a dir poco turbolenta della sua vita, caratterizzata da eccessi vari e dal recente coming out sulla propria omosessualità, con il successo di pubblico e critica di “Queen of Denmark” (2010), prodotto dai texani Midlake, quando scopre di essere sieropositivo.

Smarrite le ultime, poche, certezze, da alle stampe un secondo album solista: discontinuo, cupo, drammatico, a tratti ancora magico.

L’approccio è spiazzante.

A partire dalla (brutta assai) title-track, sui fantasmi verde pallido che da sempre lo assillano, e dalla successiva “Black belt”. Il sound classico e levigato ispirato ai grandi classici del passato, prima di tutto il grande rock americano degli anni anni Settanta, lascia spazio a un’elettronica wave (lui adora Depeche Mode, Yello, Cabaret Voltaire, Siouxsie and the Banshees, Cocteau Twins, Dead Can Dance), a tastiere e sintetizzatori, a basi registrate: è il segno del cambio di produzione, questa volta affidata al leader dei Gus Gus, conosciuto ai tempi dell’Iceland Airwaves festival di Reykjavik nel 2011.

Un’autentica doccia fredda, alla quale non eravamo preparati.

Per fortuna il nostro si fa presto perdonare, riprendendo il discorso già tracciato con “QoD” ovvero con i brani più tradizionali: “GMF”, ovvero Greatest Mother Fucker (“sono il più grande figlio di puttana che potrai mai incontrare”), oppure le mediazioni più riuscite, come “Vietnam” e “It doesn’t matter to him”. Poi ancora elettronica, e un paio di duetti con Sinead O’Connor.

Il disco tratta i temi di autodistruzione, di suicidi, di omofobia e di emarginazione, vissuta sulla propria pelle, da parte di una gretta e bigotta comunità di provincia, e anche della sua positività al virus HIV (“Ernest Borgnine”).

Con la sensibilità poetica del miglior Morrissey.

“Tu vuoi semplicemente vivere la tua vita / nel migliore dei modi / ma continuano a dirti che / non ti è permesso / dicono che sei malato / che dovresti appenderti per la vergogna / puntano il dito / e vogliono che ti prenda le colpe / ci sono giorni in cui / la gente è così sgradevole e persuasiva /dicono cose da non credere /che fanno male e ti lasciano dolorante”

(a questo link potete ascoltarlo e vederlo in un bellissimo live)

Giovanni Battista Menzani
@GiovanniMenzani

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