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Economix: ICT italiane, dalle startup alle scaleup

Sep, con la e allungata, in ungherese suona come “bello”, perché in realtà si scrive szep mentre in inglese assume il significato abbreviato di un mese molto citato nella discografia mondiale: settembre.

Ma occupiamoci di startup

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ICT italiane: dalle startup alle scaleup

I dati di SEP Monitor sulle startup ICT italiane, pronte al salto dimensionale.

 

Sep, con la e allungata, in ungherese suona come “bello”, perché in realtà si scrive szep mentre in inglese assume il significato abbreviato di un mese molto citato nella discografia mondiale: settembre.

Ma occupiamoci di startup.
 

SEP, infatti, è anche l’acronimo di Startup Europe Partnership, il portale paneuropeo creato per assistere le startup europee “meritevoli”, a fare il salto nel mercato globale.

Nell’ultimo SEP Monitor, presentato a Roma il 3 ottobre scorso in occasione dell’ultimo SEP Matching Event, sono state poste in evidenza quelle che possono considerarsi le eccellenze del nostro Paese.
 

Da startup a scaleup
 

Stiamo parlando delle cosiddette “scaleup” italiane dell’Information & Communication Technology (ICT), le imprese che superata la fase di avvio (altrimenti denominata fase di “seed”) sono pronte al salto dimensionale. In Italia ce ne sono 108 in campo ICT, prevalentemente nei settori dell’e-Commerce e dei servizi alle imprese, Social, Digital Media e Pubblicità.

Trentadue sono le scaleup che hanno già raggiunto una “exit” (in gergo significa uno sbocco, che può tradursi con cessione di quote di capitali o dell’intera azienda a gruppi industriali più strutturati). Un dato in forte crescita: il numero è praticamente quadruplicato nel corso degli ultimi 4 anni: 27 le acquisizioni, 5 le quotazioni in borsa (IPO). Più della metà delle acquisizioni è rimasta in Europa (il 41% in Italia), il 33% vede coinvolti gli Stati Uniti, il 4% la Russia, il 4% il Giappone e il 4% il Sud Africa. Circa il 70% delle scaleup ha raccolto negli ultimi tre anni tra il mezzo milione e i 2.5 milioni di dollari, il 17% tra i 2.5 milioni e i 5 milioni, l’8% tra i 5 milioni e i 10 milioni e il 7% oltre 10 milioni.
 

Un dato senz’altro importante che, nella desolazione dell’economia italiana, rappresenta una speranza, che anche qui da noi, e non solo negli USA, in Israele, in Polonia o in Asia, si può fare innovazione a grandi livelli.
 

E’ della stessa opinione Neelie Kroes, Vice Presidente uscente della Commissione Europea, che ha dichiarato: “ … sono davvero felice che Startup Europe Partnership abbia identificato in Italia oltre 100 “scaleup” del settore tecnologico, un dato simile a quello che abbiamo riscontrato in Spagna. Questi role model mostrano che gli ecosistemi di startup stanno fiorendo in tutta Europa. … Con il vostro contributo l’economia europea può continuare a crescere”.
 

Oltre al comparto ICT lo studio ha evidenziato altre importanti aree di innovazione estremamente attive e vivaci quali biotech, cleantech, hardtech.
 

“Serve una nuova cultura dell’investimento in startup capace di mettere al centro le nuove imprese innovative, valorizzandone l’apporto di tecnologia, creatività e le possibilità di crescita”, afferma Stefano Firpo, capo della Segreteria tecnica del Ministro dello Sviluppo economico. In altre parole occorre che i detentori di capitali e risorse tecnologiche nonché commerciali e relazionali a livello globale, per farla breve i grandi capitalisti italiani (e non solo, oserei dire), comincino a mettere a disposizione parte delle loro immense risorse a progetti innovativi, entrando a far parte, grande novità per la maggior parte di loro, del “club degli investitori a rischio”.
 

A quanto pare anche dalle nostre parti accade qualcosa di szep. E ciò è molto bello.
 

Andrea Lodi (economix@piacenzasera.it)

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