“Scrivi quello che non conosci”, Violetta Bellocchio a Pulcheria foto

All’interno dell’edizione 2014 di Pulcheria, promossa dal Assessorato Pari Opportunità del Comune di Piacenza è stata oggi ospite Violetta Bellocchio, autrice del libro “Il Corpo non dimentica” edito da Mondadori – Strade Blu e fondatrice della rivista on line www.abbiamoleprove.com

“Scrivi quello che non conosci” Punti di forza e limiti della scrittura personale 
Violetta Bellocchio a Pulcheria 2014
All’interno dell’edizione 2014 di Pulcheria, promossa dal Assessorato Pari Opportunità del Comune di Piacenza con il sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano è stata oggi ospite Violetta Bellocchio, autrice del libro “Il Corpo non dimentica” edito da Mondadori – Strade Blu e fondatrice della rivista on line www.abbiamoleprove.com.
Questo è quello che Violetta ha raccontato nel contesto del Palazzo Rota Pisaroni:
 “Quando avevo 27 anni – una decina di anni fa – un uomo potente nel settore editoriale ha letto una cosa che avevo scritto, un trattamento per un film: era una storia bruttina, il protagonista era un ragazzo che viveva a Milano. L’uomo potente nel settore editoriale mi telefonò e mi disse: “Tu devi scrivere storie sulle ragazze che stanno a Milano e che lavorano nelle riviste femminili” e mentre lui parlava io pensavo fortissimo: “Non scriverò mai NIENTE su ragazze che lavorano in giornali femminili, non scriverò MAI quello che un uomo mi dice di scrivere”. Anche se in parte era quello che facevo, ovvero le cose che scrivevo erano pubblicate su un giornale che comunque si rivolgeva ad un pubblico femminile, non accettavo di essere ridotta a due caratteristiche da parte di qualcuno altro. Lo stereotipo “le ragazze, la grande città, le cose da femmine” pungolava il mio orgoglio femminista, di classe, sociale e professionale.
QUELLA particolare decisione mi ha tenuta per anni a distanza dalle “cose di donne”, mi ha avvelenato nei confronti del genere e mi ha allontanato dalla scrittura personale.
Un paio di anni dopo, invece, il trattamento fu giudicato, da un editor ancora una volta uomo ma più attento preciso e puntuale nei suoi giudizi e nei miei confronti, non male ma, medio, “middle of the road” per la precisione. Puoi fare meglio, mi disse.
Dopo qualche anno ho scritto un libro di scrittura personale, un memoriale. I libri sono come i crimini è questione di movente e di opportunità. Ecco, Il corpo non dimentica è un libro che ha incrociato opportunità e movente. L’ho scritto tra i 34 e i 35 anni ed è stato pubblicato quando ne avevo 36 perché così ha deciso la casa editrice, “tu esci tra 14 mesi” (un anno in editoria non è molto, soprattutto di questi tempi, capita spesso che un autore debba aspettare molto tra la consegna e la pubblicazione).
Nel frattempo non potevo firmare altri contratti e il tempo di attesa andava riempito: purtroppo nessuno mi pubblicava la storia della causa che avevo vinto contro un piccolo editore per una questione di pagamenti.
Quindi ho pensato di fondare una rivista on line, a costo zero, che pubblicasse solo non fiction, ovvero saggi di natura personale. Ho chiamato amiche scrittrici, ho fatto scouting, e ho cercato solo storie di donne lasciando il taglio, la lunghezza, e la natura della storia alla totale autonomia dell’autrice. 
Un progetto di scritture di donne è molto difficile da fare in Italia: le storie di donne sono spesso percepite come cose tristi, angosciose.
L’avvio di abbiamoleprove da un lato mi ha fatto uscire da un rischioso isolamento (perché non solo aspettavo, ma aspettavo la pubblicazione di un libro che raccontava cose sgradevoli sul mio conto), dall’altro mi ha messo di fronte alla responsabilità etica e personale che richiede l’intervenire sulla scrittura di qualcuno che ti racconta la sua storia. Mi domandavo: come posso aiutarti a scrivere meglio la tua storia? Giocare a fare l’editor è pericoloso ma molte storie che arrivavano non erano pronte. E non per l’esperienza dell’autrice, né per la storia stessa, ma per la riluttanza a raccontare. Più si cercava di superare la riluttanza più arrivavano pezzi dove mancavano i fatti, in totale controtendenza rispetto ai luoghi comuni che vedono le donne ansiose di raccontare la propria vita e i fatti propri e anche rispetto alla vita “social” che ognuno di noi conduce, nella quale offriamo agli altri i dettagli più irrilevanti e noiosi della nostra vita personale. È stato difficile quindi tirare fuori queste donne: ho creato un elegante ghetto con le scarpe d’argento.
Dopo un anno, senza grandi campagne promozionali, abbiamo vinto il Macchia Nera Italian Award come miglior sito letterario. Se ci fosse stata la categoria miglior sito per donne ci avrebbero probabilmente messo lì. E dopo aver vinto, con il mio premio di plastica in mano, mi sono seduta vicino a uno deli autori del blog Spinoza che ne aveva vinti 13. Contemporaneamente, mi è arrivato un sms che diceva “Giorgio Fontana ha vinto il Premio Campiello”. Giorgio Fontana (all’epoca avevamo lo stesso agente) ha vinto il Campiello e io avevo in mano un premio di plastica. Il mio momento di gloria è durato in tutto 120 secondi. Una vita e una morte di serie B.
 
Il limite della scrittura personale (o meglio, narrative non fiction) é quindi abbastanza evidente: mentre gli altri generi trovano pubblico e lettori (Morte di un uomo felice, il libro di Fontana, che è un ottimo scrittore, parla di un magistrato che indaga su una banda armata criminale), la scrittura personale fatica a trovare uno spazio. Eppure, eliminando la non fiction, restano solo i generi.
La forza della scrittura biografica non è la catarsi non è ammettere debolezze e vittorie, è l’obbligo a stare dentro una storia. Il mio libro è scritto in sequenza, come fosse una specie di diario: le storie personali non hanno quasi mai un inizio, un centro e una fine, non si sviluppano da A a B. Devi restare dentro la tua storia.
Questo succede con i pezzi che non vengono pubblicati: le autrici non sono dentro la loro stessa storia. E ti tocca, a volte, fare il poliziotto con la vittima: c’è un buco di trenta minuti, scusa, cosa succede qui? Questo accade quando non sei ancora pronta a raccontare. Questo insegno ai miei giovani e fortunati allievi della Scuola Holden: “io non voglio fare di voi grandi autori di memoriali, ma voglio farvi provare a scrivere un’esperienza reale, a scrivere sul vostro corpo, che è utile, soprattutto se la vostra idea è scrivere fiction”. 
Quando è uscito il mio libro mi dicevano sempre che ero molto coraggiosa. O anche, “ah, però, brava. Non hai paura?” Paura? Paura di cosa? Allora avevo paura.

Ed è sempre una riduzione, uno sminuire: se uno è coraggioso allora gli altri hanno paura, se chi condivide è coraggioso, chi non lo fa cosa è?

 
Un’altra parola chiave molto ricorrente è il narcisismo. Il narcisismo è una parola che accompagna qualsiasi innovazione, sia essa tecnologica, creativa, qualsiasi.
 
Invece il vero rischio della scrittura personale è “The danger of a single story”, come ha raccontato Chimamanda Adichie (scrittrice nigeriana che ha recentemente pubblicato il romanzo Americanah, dichiarato dal New York Times uno dei 10 migliori libri del 2013) in una famosa Ted conference. 
 
La scrittrice, parlando della propria storia personale, ha raccontato di essere cresciuta in un campus universitario in Nigeria e di aver iniziato a leggere i libri che aveva a disposizione, che erano libri per bambini inglesi e americani. Così, quando ha iniziato a scrivere, i suoi personaggi erano sempre bimbi biondi con gli occhi azzurri che bevevano il the. Anni dopo va a vivere negli Stati Uniti, per studiare, e quando la sua compagna di stanza le chiede se non ha della musica tribale da farle ascoltare, lei estrae dalla valigia un cd di Mariah Carey. La storia era già scritta: vieni dall’Africa, sei povera, ma ricca di cultura tradizionale. La realtà della singola storia è una realtà di potere.
 
Io ho raccontato alcune cose personali, non ho fatto un saggio sull’alcolismo, sulle donne giovani che hanno scarso rendimento scolastico, brutte abitudini e vivono nelle grandi città e frequentano ragazzi poco raccomandabili. 
Quella è la singola storia che ci viene appiccicata dall’esterno. 
Credere alla singola storia significa semplificarsi la vita. 
 

La rassegna, sotto la direzione artistica di Paola Pedrazzini, è poi proseguita con lo spettacolo di Piera Degli Esposti. 

Barbara Belzini

Tw: @BarbaraBelzini