“Dalla “buona” scuola alla scuola-azienda”. Prc contro il piano del Governo

"Preoccupa - affermano - l’istituzione di un preside-manager (figlia di una retorica aziendalistica dilagante i cui benefici effetti rimangono misteriosamente nascosti) dotato del potere di chiamata diretta dei docenti ma anche di quello di poter conferire aumenti stipendiali"

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Dalla “buona” scuola alla scuola-azienda, intervento a firma della segreteria provinciale del Partito di Rifondazione Comunista di Piacenza

Il via a questo tormentato anno scolastico lo ha dato Renzi lo scorso 3 settembre, come sempre in maniche di camicia quando si sforza di mostrare che sta lavorando, presentando in video sul web la Buona Scuola, un libretto di proposte senza alcuna copertura finanziaria e farcito di acronimi e inglesismi in salsa aziendale, votato a produrre l’ennesima riforma a costo zero.

La consultazione telematica , strumento riduttivo e inadeguato a condividere percorsi su un bene comune essenziale come la Scuola, si è giustamente risolta in un flop sia di partecipazione sia di consenso alle proposte presentate, dimostrando la sua natura di operazione di marketing tesa a mascherare l’assenza di una reale volontà di condivisione. Si è arrivati così al tanto annunciato, e più volte rinviato, disegno di legge sulla scuola che, è ormai prassi consolidata, il parlamento dovrà approvare in tempi rapidi e nessuna modifica.

Vediamone in sintesi i punti essenziali. Dei 250.000 precari attuali, i 148.000 che “la buona scuola” proponeva di stabilizzare sono scesi a 100.000 e ora sembra probabile che solo 50.000 saranno effettivamente assunti a settembre. Questo piano di assunzioni drasticamente ridotto, se confermato, taglierà fuori migliaia di docenti abilitati che da anni lavorano nella scuola pubblica e che hanno pieno diritto all’assunzione a tempo indeterminato, come ribadito dalla sentenza della Corte di giustizia europea del 26 novembre 2014.

Colpisce l’istituzione dell’organico funzionale per reti di scuole che, in assenza di cattedre di diritto aggiuntive, rischia di trasformare una parte dei docenti che oggi lavorano con contratti a termine in semplici “sostituti” del personale assente. Due gli effetti perversi più evidenti: il danno arrecato allo sviluppo della professionalità dei suddetti docenti e l’impossibilità di utilizzare le nuove immissioni in ruolo per ridurre il numero massimo di studenti per classe, misura che sarebbe vitale per migliorare la qualità della didattica e attivare nei fatti al di là degli slogan un approccio personalizzato ai bisogni educativi degli allievi.

Preoccupa poi l’istituzione di un preside-manager (figlia di una retorica aziendalistica dilagante i cui benefici effetti rimangono misteriosamente nascosti) dotato del potere di chiamata diretta dei docenti ma anche di quello di poter conferire aumenti stipendiali. Secondo questo modello il dirigente, proprio come si fa in azienda, potrà contrattare direttamente coi docenti un lavoro triennale in base alla cattedra o all’organico funzionale, con un grande margine di discrezionalità e di potere che potrà diventare anche strumento di ricatto nei confronti dei medesimi, costretti a rimettersi ‘sulla piazza’ alla fine di ogni triennio contrattuale.

Offende che si baratti un bonus di 50€ mensili per consumi culturali e aggiornamento professionale con il blocco del contratto, fermo al 2009, mentre l’indennità di vacanza contrattuale lo resterà fino al 2017 compreso, per cui tra il 2009 e il 2018 i docenti italiani avranno lasciato allo Stato una media di 4800 euro dei loro stipendi (stima Flc-Cgil).

Rimane infine in vigore la detrazione fiscale per le famiglie che iscrivono i figli alle scuole paritarie. Insieme a questa, verranno predisposti altri strumenti fiscali tra i quali spiccano il 5 per mille destinato anche alle scuole e lo «school bonus». Quest’ultimo funzionerà così: coloro che invieranno delle donazioni per finanziare la costruzione di edifici scolastici, per la manutenzione e per la promozione di iniziative dedicate all’occupabilità degli studenti, riceveranno un credito d’imposta al 65% in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi. Peccato che meno entrate fiscali vogliano dire meno welfare, a danno come sempre delle fasce sociali più deboli.

Da un lato si continuano a concedere risorse alle scuole paritarie, che costeranno 400 milioni di euro ogni anno, sconfessando il dettato costituzionale che ne norma l’attività senza oneri per lo stato; dall’altro, con la disoccupazione giovanile al 42,6%, si teorizza il ricorso al lavoro gratuito e volontario dei professionisti o dei docenti in pensione e si inseriscono gli studenti negli apprendistati (come dettato nella riforma Poletti sui contratti a termine) per educare le nuove generazioni alla precarietà.

Per tutti questi motivi la Federazione PRC di Piacenza esprime parere fortemente negativo sul Piano Scuola proposto dal governo, ricordando al premier che, se davvero avesse voluto fare una Riforma della scuola, ne avrebbe già avuto a disposizione una coerente ai principi costituzionali: si tratta della Legge di Iniziativa Popolare “Per una buona scuola della Repubblica”, frutto di un vero impegno condiviso, sottoscritta da 100.000 elettori certificati, già depositata alla Camera dei Deputati il 4/8/1996 e dunque “pronta” per il suo iter parlamentare.

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