Le recensioni di PcSera: Mia madre

Non è un cineasta per giovani Moretti e ancora meno lo è con un titolo del genere. Eppure non andare a vedere Moretti dà un certo senso di esclusione, non lo si può negare. Perché fa parte di noi

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– Ciao, andiamo a vedere MIA MADRE?
– Grazie, ma mi fa troppa paura

Provate a pensare: Tutto su mia madre di Pedro Almodovar, opera di estrema favolosità e puro melodramma, è la storia di una donna che perde un figlio, Mother del regista coreano Bong Joon-ho (autore del capolavoro visuale Snowpiercer, non sia mai che io perda l’occasione di ricordarvi di vederlo) racconta di una madre che cerca di scagionare il figlio mentalmente disabile da un’accusa di omicidio. Qualcuno si ricorda di Mammina Cara? Il film che narra la vita di Joan Crawford, tratto dal libro scritto dalla figlia adottiva Christina Crawford, famosissimo cult movie, è una vera biografia horror. Tutta roba forte, che non si dimentica.

Esercizi di stile a parte, MIA MADRE è un film che già dal titolo incute ansia nello spettatore perché, esattamente come il suo titolo, potrebbe conoscere alcuni dei tuoi punti deboli, e usarli contro di te a tradimento. E invece il film di Moretti è un film giusto. Non toccante, non vero, non delicato, aggettivi offensivi e ingiusti appunto. Incapace di ammiccamenti o ruffianerie, Moretti nel suo film su MIA MADRE si ritaglia un ruolo secondario. E’ presente, ma in secondo piano, interpreta il figlio, il fratello. Il regista lo fa fare a Margherita Buy.

E’ Margherita Buy che non sa più cosa dire ai giornalisti sul film che sta girando, che non ha più risposte, che non è più in grado di raccontare il paese e la gente che perde il lavoro, che si sente inadeguato. Nanni, a noi lo dici che ti senti inadeguato. Eh sì, a noi lo dice, e infatti si concentra su una storia intima, in un equilibrio perfetto tra il dramma esterno del paese e il dramma interno della famiglia, lasciando a Turturro il compito ingrato di stendere su tutto questo una patina di leggerezza e pateticità.

E quindi MIA MADRE si sdoppia, sommando le inadeguatezze, quelle di Margherita che gira un film che non la convince con un attore che non le piace, con una troupe che la asseconda solamente (“Il regista è uno stronzo al quale voi permettete di fare di tutto”, dice) e quelle di Margherita e Giovanni di fronte alla malattia della madre.

Moretti delude, dicono i giornali, eppure è già oltre i 2 milioni di euro e conosco le statistiche delle presenze al cinema della mia città come le mie tasche e la sala era piena ed era piena di persone non giovani. Non è un cineasta per giovani Moretti e ancora meno lo è con un titolo del genere. Eppure non andare a vedere Moretti dà un certo senso di esclusione, non lo si può negare. Perché fa parte di noi. Perché nessun regista negli ultimi anni è stato così pesantemente italiano come Moretti che proprio per questo non esce da un contesto europeo. Perché nessun regista negli ultimi anni ha detto tante volte e con tanta esattezza le cose che intimamente avvertivamo ma che non sapevamo esprimere. Perché è con lui che ci siamo emozionati per Jennifer Beals, che abbiamo sofferto per Zivago, che abbiamo condiviso la passione per la Nutella.

Anche questa volta c’è stata identificazione, ma identificazione silenziosa e poche linee di dialogo che resteranno nel tempo. Bisognosa di leggerezza, nel momento in cui Margherita si sveglia e scopre di avere il pavimento allagato, la sala si è animata e ha rumoreggiato. Per tutto il tempo in cui lei goffamente ha cercato di asciugare l’acqua con dei giornali il pubblico è stato solidale e partecipe (nooo, coi giornali non ce la farai mai!!!) e si è placato solamente quando ha finalmente rintracciato degli stracci maggiormente idonei al compito (erano pochi, comunque). Siamo tutti inadeguati di fronte alle nostre tubature danneggiate.

Barbara Belzini 
tw: @BarbaraBelzini

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