Il vescovo Gianni “Siamo fragili, lo dimostra la diffusione del gioco d’azzardo” foto

Nella sua omelia, durante la solenne celebrazione nella basilica di S. Antonino, il vescovo Gianni ha rievocato la figura del patrono Antonino, un giovane che ha professato con coraggio la sua fede in Gesù.

Piacenza – Nella sua omelia, durante la solenne celebrazione nella basilica di S. Antonino, ha denunciato con parole nette la trappola del gioco d’azzardo, che si è diffusa sempre più nella comunità piacentina. Partendo dalla fragilità degli uomini, il vescovo ha invocato un maggiore senso di comunità. 

Nella basilica del Santo Patrono, il vescovo Gianni ha concelebrato la solenne cerimonia religiosa insieme ad altri tre vescovi, quello di Parma Enrico Solmi, quello di Fidenza Carlo Mazza e padre Elias Chacour vescovo emerito di Nazareth, Akko e Haifa. Nell’omelia ha esordito rievocando la figura di Antonino, “un giovane che ha professato con coraggio la sua fede in Gesù”.

“Ma insieme a lui ricordiamo altri testimoni luminosi della fede – ha proseguito – perché anche nella vita quotidiana c’è una sorta di martirio quotidiano, tutti siamo figli e tutti siamo eredi. Oggi ci vuole molto coraggio per riconoscerci tali, eredi di un tesoro di chi ha vissuto la vita cristiana con grande responsabilità, di chi ha segnato la nostra cultura il nostro stile di vita, la nostra umanità. Come ha ricordato Paolo, il nostro tesoro è custodito in vasi di creta, perché la verità è che siamo fragili e dobbiamo sostenerci reciprocamente nel nostro cammino. La presunzione di autosufficienza e la disattenzione ai legami con le persone e di comunità sono i segni di questa fragilità negata. La libertà è spesso a rischio pensiamo alle varie dipendenze che ci rendono schiavi come la trappola del gioco d’azzardo che sta crescendo nella nostra comunità piacentina”.

Il vescovo ha reso omaggio alle donne nella religione in particolare ad monache Benedettine e Carmelitane, ha citato madre Anna Maria Canopi che è un po’ nascosta qui in chiesa come vuole la tradizione benedettina ma il premio che le è stato conferito è un segno di ringraziamento della chiesa piacentina per le sue preghiere.

Omelia del Vescovo mons. Gianni Ambrosio

Carissimi fratelli vescovi Elias, Carlo e Enrico, carissimi fratelli e sorelle

1. Mi soffermo sull’espressione dell’apostolo Paolo che abbiamo ascoltato nella seconda lettura. Ai cristiani di Corinto, san Paolo dice, riferendosi alla sua missione di annunciatore di Gesù Cristo: “noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta”.

Oggi, alla nostra Chiesa che lo ha voluto come suo patrono, Antonino dice: Gesù Cristo è il nostro tesoro. Lo dice a noi con la sua fede testimoniata fino al martirio: nulla vi è di più grande e di più bello, siatene consapevoli, manifestate la vostra gioiosa gratitudine, vivete questa grazia con responsabilità.

Con la fede che apre il cuore e la mente, noi accogliamo il tesoro che Dio ci ha inviato, Gesù Cristo. Con gli occhi illuminati dalla fede, contempliamo i molti segni di questo tesoro nella vita di fede vissuta e testimoniata dai nostri padri e trasmessa fino a noi. Siamo pieni di gratitudine verso coloro che sono all’origine della nostra Chiesa, tra cui spicca il patrono sant’Antonino, un giovane che ha professato con coraggio la sua fede nel Signore Gesù e ha affermato la sua libertà di fronte al sopruso dell’imperatore. Insieme al martire Antonino, ricordiamo molti altri testimoni luminosi di Gesù Cristo, di cui è ricca la nostra famiglia ecclesiale, sapendo che anche nella ferialità del quotidiano vi è per tutti una sorta di martirio, piccolo ma continuativo.

2. La festa che celebriamo è una occasione propizia per ricordare che noi facciamo parte di questa famiglia e per riconoscere che siamo figli ed eredi. Sembra la cosa più ovvia, ma è diventata molto difficile. Perché oggi ci vuole molto coraggio per riconoscerci figli ed eredi di un sorprendente tesoro e di un ricco patrimonio dovuto ai frutti buoni di chi ha vissuto la vita cristiana, l’ha testimoniata e trasmessa come vita nuova, come fraternità, come bellezza, come arte, come responsabilità. Tutto questo ha segnato la nostra terra, le nostre relazioni, la nostra cultura, il nostro stile di vita, la nostra umanità.

3. L’apostolo Paolo ci ricorda che noi abbiamo il tesoro in vasi di creta. Così è stato per Paolo, per Antonino, così è per tutti noi. Il tesoro è in noi, e tutti noi siamo vasi di creta, cioè fragili, delicati, esposti alle rotture, all’usura del tempo. Lo siamo sia personalmente sia come comunità ecclesiale e civile.

Riconoscerci vasi di creta vuol dire riconoscere la verità di noi stessi: da qui la cura premurosa del tesoro ricevuto e del patrimonio che ci è consegnato; da qui la disponibilità alla fiducia tra di noi, al mutuo sostegno, al perdono reciproco. Questa cura premurosa e questo cammino comune generano la vita buona, favoriscono il senso della comunità, rafforzano i legami sociali.

Se oggi è difficile riconoscerci figli ed eredi, è altrettanto difficile riconoscerci vasi di creta. La presunzione di autosufficienza e la disattenzione dei legami che ci costituiscono sono i segni della fragilità negata o mascherata: si esalta la libertà, ma di fatto la libertà è a rischio. Pensiamo alle dipendenze di vario genere che ci rendono quasi schiavi di idoli mortificanti. Mi permetto di richiamare un solo caso tra i tanti, e cioè all’apparente libertà del gioco d’azzardo che presto si trasforma in una trappola, in una grave dipendenza che sta crescendo in modo diffuso nella nostra comunità piacentina.

3. Consentimi ancora un pensiero. Nella parete di fondo del presbiterio di questa basilica, nel dipinto del De Longe sono raffigurati un giovane Antonino e un vescovo, forse il nostro primo vescovo san Vittore oppure il secondo vescovo, san Savino. Antonino e il vescovo guardano verso l’alto, verso la “sacra spina” che, secondo la tradizione, è conservata come reliquia in questa basilica. Insieme guardano verso l’alto, si rivolgono all’amore incondizionato di Dio che Gesù Cristo ci manifesta e ci dona nel sacrificio della Croce, di cui la sacra spina è il segno. Queste due figure rappresentano la Chiesa, la Chiesa che celebra il sacrificio eucaristico e che testimonia con coraggio la fede nel tesoro ricevuto. Vorrei che ci fosse anche una terza figura per ricordarci la Chiesa che contempla, espressa in particolare dalla vita consacrata. Ritengo doveroso ricordare le molte donne che si sono dedicate a Dio pregando per il bene di tutti, come santa Franca o la devota Margherita Antoniazzi (Bardi, nostra diocesi). È bello e doveroso ricordare tutte le suore, le consacrate di vita attiva e in particolare le monache dedite alla vita contemplativa, le benedettine e le carmelitane: nel silenzio orante ci indicano il grande tesoro che già abbiamo e che si rivelerà a noi nella sua pienezza quando si concluderà il nostro pellegrinaggio terreno.

Poiché non possiamo cambiare il dipinto, idealmente possiamo aggiungere ad Antonino e al vescovo la figura di una monaca contemplativa, di cui è segno vivo qui con noi in questa basilica Madre Anna Maria Canopi. Nel rispetto della tradizione benedettina, la nostra sorella, piacentina di origine, ha voluto restare dietro l’altare, verrà qui davanti solo per ritirare il premio. Le motivazioni saranno espresse dal parroco don Giuseppe: io mi limito a dire, a nome mio personale e a nome della Chiesa piacentina, il mio grazie più sentito alla cara Madre, contando molto sulla preghiera sua e delle sue consorelle. Amen.

†Gianni Ambrosio

Vescovo

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