Una Cate Blanchett terrific in “Carol”: la recensione di Pcsera

Carol è uno di quei film dove non succede niente eppure ti tormenti fino alla fine per sapere se la protagonista andrà o meno in quel locale, a quell’ora, a cambiare tutto, oppure no

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Ho una smisurata ammirazione per Todd Haynes, regista californiano cresciuto a pane e Douglas Sirk, attuale portatore della bandiera del melò fatto come Dio comanda (ovvero ambientato negli anni’50) e del cinema queer.

Già con Lontano dal Paradiso (2002) Haynes affronta i temi tipici del melò con una storia di (sospetto) adulterio interrazziale e (reale) adulterio omosessuale.

Poi gira una miniserie (Mildred Pierce, 2011) prodotta da HBO rifacendo uno degli archetipi del genere, Il romanzo di Mildred del 1945 con Joan Crawford, storia di famiglia, divorzi, tradimenti, pugnalate alle spalle.

Con questo Carol, tratto da un romanzo di Patricia Highsmith, Haynes non esce dagli stilemi del canone e ci regala un altro ritratto di donna benestante/matrimonio infelice/tradimento/scandalo/dramma.

Eppure come sempre il suo film è assolutamente riuscito, perfetto, sensuale come la sua protagonista, Cate Blanchett, che si aggiunge alla sua galleria di splendidi ritratti femminili dopo Julianne Moore e Kate Winslet.

La Blanchett è terrific, come dicono gli anglofoni, un’arma di seduzione ambulante, e sembra sempre più la Garbo. La scelta di Cannes di premiare solo la co-protagonista di Carol, la giovane Rooney Mara è stata criticata da molte voci autorevoli che avrebbero preferito quantomeno un ex aequo (ma l’11 gennaio ci sono i Golden Globes e sono entrambe nominate, preparo i popcorn).

Le due donne si muovono sempre all’interno di locali, appartamenti, alberghi, macchine, in una coreografia di movimenti, parole e sguardi (lo sguardo della Blanchett merita editoriali e tesi di laurea, io ogni volta che alza la testa corro a pettinarmi le sopracciglia) che contribuiscono a conferire al film un’atmosfera calda e soffusa.

E quando pensi di essere spettatore di  meraviglioso equilibrismo di registri emotivi, improvvisamente Haynes confeziona la scena di divorzio più commovente dai tempi di Kramer contro Kramer, e senza nessuna concessione a niente che potresti anche vagamente definire “sentimentale”. Sbam.

Carol è uno di quei film dove non succede niente eppure ti tormenti fino alla fine per sapere se la protagonista andrà o meno in quel locale, a quell’ora, a cambiare tutto, oppure no. Just when it can’t get any worse, you run out of cigarettes.
 
Barbara Belzini 
tw: @BarbaraBelzini

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