“Fiato sprecato e nessuna misura concreta”. Maloberti contro la Fiera del bestiame

Giampaolo Maloberti, presidente del consorzio La Carne Che Piace, contesta la Fiera del bestiame di Ottone, tenutasi sabato 22 aprile nel piccolo comune dell’alta val Trebbia. 

«Meno parole e più fatti. Prima si risolvano realmente i problemi degli agricoltori e degli allevatori, poi eventualmente si organizzino delle carnevalate». A cadere nel mirino di Giampaolo Maloberti, presidente del consorzio La Carne Che Piace, stavolta è la Fiera del bestiame di Ottone, tenutasi sabato 22 aprile nel piccolo comune dell’alta val Trebbia. Maloberti considera la fiera in questione «una passerella che distoglie la politica dalle emergenze concrete del settore agroalimentare e che, soprattutto, permette agli amministratori di riempirsi la bocca di belle parole, senza porre rimedio ai disastri che hanno causato». 

«Gli operatori agricoli sono stufi di essere considerati di “serie b”, quando chiude un azienda agricola infatti se ne va un presidio a tutela del territorio. Sia ben chiaro: un evento come quello di Ottone, basato su una fiumana di parole gettate al vento, privo di qualsiasi conseguenza pratica e strutturale, non serve minimamente a risollevare il settore», sentenzia Maloberti, prima di elencare una serie di necessità raccolte in prima persona, tra cui quella relativa alla carenza d’acqua a fini irrigui: «Stop a tavoli e cabine di regia, le azioni da intraprendere sono note già da decenni: la Regione deve costruire nuovi invasi e riquantificare l’acqua da trattenere nella diga del Brugneto, in funzione del fabbisogno delle vallate piacentine». 

Maloberti si scaglia contro chi promuove nuovi tipi di coltivazione: «Chi incentiva l’arrivo di piante esotiche, ostentando il fatto che sarebbero meno idroesigenti, è un folle. Lo è anche chi vorrebbe un ritorno al passato, spinto dalla nostalgia, cercando le razze che un tempo popolavano le nostre montagne. Bisogna fare scelte precise in funzione del mercato, credere nelle nostre eccellenze famose in tutto il mondo, capaci di creare indotto e occupazione, come i pomodori, il mais e gli allevamenti da latte e da carne. I cammelli, i cactus e i fichi d’india, lasciamoli ad altri». 

«L’Unione Europea è nemica degli agricoltori», prosegue Maloberti, «la Politica Agricola Comune, cioè l’insieme di regole che Bruxelles vuole imporre ai Paesi membri, non è altro che un distributore di fondi pubblici non finalizzati e mal gestiti, destinati a quei progetti inutili come le stalle sociali di comunità. L’Ue sembra far di tutto affinché i giovani abbandonino l’agricoltura, con la complicità dei politici italiani prostrati ad essa. Ne risente maggiormente la montagna, che già di per sé si trova in una situazione complicata. Sarebbe ora che anche i banchieri di Bruxelles piegassero la schiena per lavorare seriamente. E che, magari, gli esponenti locali tornassero a far sentire la voce dei territori».

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