Un libro per ricordare il prete partigiano Don Borea foto

Iniziativa promossa dall’Associazione Partigiani Cristiani: il 27 aprile si presenta a Piacenza la pubblicazione dedicata a don Giuseppe Borea, ucciso dai nazifascisti nel febbraio 1945

Iniziativa promossa dall’Associazione Partigiani Cristiani: il 27 aprile si presenta a Piacenza la pubblicazione dedicata a don Giuseppe Borea, ucciso dai nazifascisti nel febbraio 1945

Giovedì 27 aprile alle ore 17 in una sala della parrocchia di San Pietro in via Carducci a Piacenza viene presentata la pubblicazione “Giuseppe Borea”, dedicata al sacerdote ucciso dai nazifascisti il 9 febbraio 1945.

L’iniziativa, promossa da Associazione Nazionale Partigiani Cristiani (ANPC), avviene nell’ambito delle manifestazioni del  25 aprile per il 72° anniversario della Liberazione. 

La pubblicazione, 64 pagine a colori in formato tascabile, è stata edita dal settimanale Il Nuovo Giornale nella collana “Il Centuplo quaggiù e l’eternità”, dedicata alla riscoperta di figure che nella vita quotidiana hanno sperimentato la forza della fede. 
Verrà distribuita in occasione della presentazione, a cui interverranno, fra gli altri, l’autrice – la giornalista Lucia Romiti – e il presidente provinciale dell’ANPC, il dott. Mario Spezia. 

Alle ore 18 nella vicina chiesa di San Pietro sarà celebrata da don Ezio Molinari una messa a suffragio di don Giuseppe Borea, dell’avv. Francesco Daveri, di don Giuseppe Beotti, del prof. Giuseppe Berti, di Nato Ziliani e di tutti coloro che si sono battuti per la libertà e la democrazia.

Chi era il martire don Borea

Il sacerdote, 35 anni, era parroco a Obolo e cappellano dei partigiani. Prima di morire, il saluto alla madre a cui chiese di perdonare i suoi uccisori

Don Giuseppe Borea nasce a Piacenza il 4 luglio 1910. Il padre, Paolo, è impiegato pubblico; la madre, Isoletta Scala, è maestra di scuola elementare. Giuseppe è il primo di cinque figli. Carlo e Camillo, i fratelli maschi, entrambi dopo l’8 settembre combatteranno come partigiani. 

Parroco ad Obolo dal 1937, don Borea si trova immerso nella tragedia della guerra e nelle speranze della Resistenza al regime nazi-fascista. È lui uno dei cinque sacerdoti che insieme a un seminarista hanno perso la vita in questo tempo, perché sono rimasti al loro posto, perché hanno condiviso i valori del servizio, della libertà e della patria. 

Don Giuseppe è un uomo di azione, abituato ad essere sempre in movimento senza risparmiare energie. Diventato cappellano della Divisione partigiana Valdarda guidata dal comandante Giuseppe Prati, dà il suo sostegno morale e spirituale ai giovani ribelli. Assiste i condannati a morte di entrambe le parti in lotta, raccogliendo spesso le ultime volontà e amministrando gli ultimi sacramenti.

Durante il rastrellamento del luglio ‘44, in cui le truppe dei mongoli battono la montagna per scovare i partigiani e si lasciano andare a violenze sui civili, il giovane sacerdote piacentino va personalmente a raccogliere i cadaveri dei ragazzi uccisi, sfidando gli ordini dei militari, e percorre chilometri per dare la notizia della morte ai genitori.

Nel preventorio di Bramaiano di Bettola, che nel ‘44 diventa ospedale partigiano, porta conforto ai feriti e dà l’estrema unzione ai moribondi. Visita tutti e distribuisce immagini sacre chiedendo se qualcuno vuole confessarsi per ricevere la comunione.

Si interessa perché la vita di prigionia sia meno dura e cerca di sventare le condanne a morte. Sul petto, è ben visibile la croce rossa di cappellano. Don Borea è un uomo e un prete coraggioso, spinto da un forte senso di pietà nei confronti dei sofferenti. È anche un uomo molto sensibile, che non si abitua e non si rassegna al male del tempo storico in cui si è trovato a vivere.

Le ultime parole: “Viva Gesù! Viva Maria!”

Don Giuseppe, che era già stato arrestato nel 1942, viene prelevato nella sua canonica da tre uomini della Guardia della Repubblica di Salò il 28 gennaio. Ne segue un processo sommario, ingiusto e infamante, in cui l’instancabile sacerdote dovrà rispondere anche di immoralità e di sevizie nei confronti di alcuni prigionieri fascisti. Lui accetta con serenità ciò che lo aspetta. Poche ore prima di essere portato fuori dalla sua cella numero 14 ed essere condotto presso il recinto del cimitero urbano per la fucilazione, gli viene concessa la visita della mamma, Isoletta, a cui chiede di perdonare tutti quelli che hanno tramato contro di lui. 

“Sono il sesto prete della diocesi che compie il sacrificio della vita per la patria martoriata. Il Signore – le dice – ci ha concesso la grazia di rivederci e così muoio più contento. Ti raccomando la mia Chiesa e consegna a chi di dovere la chiave del Tabernacolo che ho portato con me perché non profanassero il Santissimo. Dà il mio estremo saluto ai parrocchiani che ho tanto amato. Stasera sarò in paradiso e pregherò per tutti. Povera mamma! Addio ancora per l’ultima volta!”.

Viene fucilato il 9 febbraio 1945, morendo da martire. “Lascio il cuore alla mia carissima parrocchia… volentieri perdono a tutti e passerò il paradiso a compiere quel bene che non ho potuto fare sulla terra… il mio ultimo pensiero è per la mia parrocchia di Obolo, dove desidero essere sepolto. Viva Gesù! Viva Maria!”. Queste le sue ultime parole. Poi, la raffica di colpi partiti dalle armi spianate dei soldati della Guardia nazionale repubblicana fanno cadere a terra la sua figura di santo sacerdote.

Lucia Romiti

L’AUTRICE

LUCIA ROMITI, laureata in filosofia all’Università degli studi di Macerata e giornalista, è redattrice della rivista del Rinnovamento nello Spirito Santo e collabora con il settimanale della diocesi di Piacenza-Bobbio “Il Nuovo Giornale”. Per la collana “Testimoni della fede” de “Il Nuovo Giornale” è autrice di diverse biografie. Per la collana “I santi in tasca” (edita con “Nuova Editrice Berti”) ha scritto le biografie di Giovanni Paolo II, Zelia e Luigi Martin, Padre Pio da Pietrelcina, Santa Teresa Benedetta della Croce, Pio X, Paolo Burali e Andrea Avellino. Per la collana “Il centuplo quaggiù e l’eternità” è autrice delle pubblicazioni dedicate a mons. Luigi Bergamaschi, mons. Antonio Lanfranchi, Felice Fortunato Ziliani, Francesca Conti, Giovanni Spezia e Carmen Cammi.
 

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