Asp, sabato due appuntamenti per parlare di disabilità

In mattinata presso la sacrestia di Santa Maria della Pace incontro con il dottor Carlo Lepri, alle 18 il reading musicale tratto da "Non volevo morire vergine" di Barbara Garlaschelli

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L’Asp “Città di Piacenza”, nell’ambito degli incontri di sensibilizzazione sul tema disabilità, in collaborazione con il Comune di Piacenza e con il sostegno della rete dei servizi e delle strutture territoriali, organizza sabato 27 maggio dalle ore 9,45 alle ore 12 un incontro sul tema “L’infantilizzazione: che cos’è e come affrontarla” con il dottor Carlo Lepri, psicologo e docente a contratto presso l’Università di Genova.

L’incontro che avrà luogo presso la sacrestia di Santa Maria della Pace, in via Scalabrini 19, è aperto a tutti.

Il Prof. Carlo Lepri, Psicologo e Formatore, da molti anni è impegnato in Italia e all’estero in attività di formazione e consulenza sui temi dell’inclusione lavorativa e sociale delle persone con disabilità. Fondatore, con Enrico Montobbio, del Centro Studi per l’integrazione lavorativa delle persone disabili, è autore di numerose pubblicazioni nel settore.

Ha scritto, tra gli altri, Lavoro e fasce deboli, Chi sarei se potessi essere, Viaggiatori inattesi e ha curato il volume La persona al centro: autodeterminazione, autonomia, adultità per le persone con disabilità intellettiva.

Sul tema che affronterà a Piacenza ha detto in un’intervista recente: “Nella mia attività professionale mi sono occupato prevalentemente di inserimento lavorativo di persone con una difficoltà di funzionamento di tipo intellettivo. Come è noto, uno dei tratti caratteristici di questa “categoria”, accanto ai deficit cognitivi, è quella di presentare una certa immaturità relazionale. Si tratta di quella caratteristica che per molto tempo ha fatto sì che si pensasse a queste persone come a degli “eterni bambini”, dei “Peter Pan” da accudire in luoghi appositamente dedicati a loro”.

“I processi di integrazione scolastica e nel mondo del lavoro hanno dimostrato invece che nel momento in cui cambiano i contesti, cambiano anche le aspettative verso le persone e con esse le rappresentazioni che noi abbiamo della disabilità. Nello specifico ci siamo resi conto che anche le persone con disabilità intellettive possono diventare adulte e non solo anagraficamente. Quindi, poter vivere una vita adulta, con i diritti e i doveri che questo comporta, è diventato un obiettivo possibile anche per queste persone”.

“Come sappiamo, il lavoro è uno dei mezzi che caratterizzano la vita delle persone adulte. Esso offre autonomia economica, ma è anche un potente strumento identitario e di socializzazione. Questo è vero in generale e lo è a maggior ragione per persone che possono avere qualche difficoltà aggiuntiva proprio sul piano della identità e delle relazioni sociali. Tuttavia il lavoro è uno strumento per accedere a questa condizione di adultità e non può trasformarsi nel fine. Ciò significa che non possiamo proporre percorsi lavorativi in modo generalizzato poiché in alcuni casi il lavoro potrebbe non essere coerente con i bisogni di una persona disabile. In più il lavoro non può essere proposto in modo “astorico” a una persona. Occorre infatti che la possibilità di “diventare grande”, attraverso il lavoro faccia parte di un progetto educativo che deve avere inizio prima possibile”.

Sempre Sabato 27 maggio, alle ore 18 presso sacrestia Santa Maria della Pace, via Scalabrini, 19 è in programma il reading musicale tratto da “Non volevo morire vergine” (Piemme) di Barbara Garlaschelli.

Patrocinato dall’Associazione Culturale Tessere Trame e Asp “Città di Piacenza” con la voce narrante Barbara Garlaschelli fisarmonica, strumenti vari e canto Stefania Carcupino.

La storia che viene raccontata è reale, come lo sono tante storie mai narrate, per malriposto pudore o per vergogna ingiustificata. La voce narrante è quella di una donna, l’autrice stessa, che ripercorre il lento riaddestramento alla vita dopo un incidente che l’ha resa disabile.

La protagonista, con piglio assolutamente laico e con una cifra narrativa a tratti divertente e divertita e uno stile asciutto, racconta gli anni successivi all’ incidente che, da adolescente, le ha leso il midollo spinale nel modo peggiore, lasciandone intatta la bellezza e la determinazione, ma trasformandone il corpo in quello di una disabile. Tutto ha inizio appena dopo l’incidente, quando la protagonista torna, dopo una lunghissima riabilitazione, a scuola e tra le sue amiche, consapevole di quanto sia, ora, diverso il suo corpo. Le prime esperienze di coinvolgimento affettivo, di contatto col mondo maschile, la scoperta di un corpo che cambia e che sperimenta sensazioni nuove le appaiono inizialmente precluse.

La pena dell’esclusione – che appare irremissibile – si combina però con la determinazione assoluta a trovare una strada per avere quello a cui tutti hanno diritto: una vita affettiva e un rapporto fisico con chi si ama ma anche con chi rappresenta un “amore di passaggio”.

La vicenda racconta la difficoltà ad accettare di mostrare il proprio corpo, la necessità di tornare ad amarlo di nuovo, prima che possa amarlo un ragazzo, i primi incontri, le prime delusioni.

La voce narrante racconta di come i primi rifiuti possano essere letti non tanto in modo negativo, ma piuttosto come incapacità da parte dei possibili partner di affrontare una situazione insolita, ma non necessariamente meno interessante, coinvolgente e profonda di un rapporto consueto. Man mano che la protagonista acquista fiducia nella sua capacità di risvegliare l’interesse e il desiderio di un uomo, cresce anche l’autoconsapevolezza, che non è negazione della diversità, ma riconoscimento di essa come una risorsa.

L’educazione sentimentale che ne risulta è insolita e importante, e conduce alla progressiva scoperta della possibilità di un rapporto stabile, di amore profondo, ma dove anche la soddisfazione del corpo abbia la giusta rilevanza.

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