Pausa caffè con Nereo Trabacchi: La figlia del Museo Farnese

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La figlia del Museo Farnese

di Nereo Trabacchi

Quando sua moglie morì lasciandolo solo a crescere una ragazzina di dieci anni, temette di sfiorare la pazzia nel momento in cui comprese di essere grato ai nefasti eventi per i quali se da un lato gli scaricavano addosso problemi come il vento fa con i detriti nell’angolo del cortile, dall’altro l’impegno necessario a ramazzarli lo teneva a sprazzi lontano dal dolore.

Era oberato dai debiti e l’impiego come aiuto cuoco era appena sufficiente a pagare le bollette e sfamare lui e la piccola Matilde insieme agli avanzi che spesso portava a casa dal ristorante. L’ostacolo più grande nel periodo estivo era a chi affidare la figlia durante le lunghe ore del suo malpagato lavoro.

Erano completamente soli, nessun parente, e pagare qualcuno che si prendesse cura di lei era assolutamente da escludere. Un giorno il suo ristorante fu chiamato per un servizio di rinfresco nel bellissimo museo all’interno del maestoso Palazzo Farnese, e mentre preparava tartine e minchiate culinarie per gli ospiti, rimase letteralmente incantato da quegli ambienti e da tutto quello che vi era esposto, vergognandosi quasi di non avervi mai messo piede nonostante abitassero poco distante da lì.

La sera stessa, mentre come da abitudine si rigirava nel letto senza prendere sonno, ebbe l’idea; così il mattino dopo insieme a Matilde, si recò alla cassa del Museo e comprò, con il frutto di un mese di mance, un abbonamento mensile per la figlia. Si assicurò che nello zainetto avesse un panino, un frutto e una bottiglietta d’acqua, poi le baciò la fronte e la osservò varcare la soglia della prima stanza del museo, certo che l’avrebbe protetta come un ventre di vacca per le successive otto ore durante le quali si sarebbe spezzato la schiena prima di tornare a riprenderla. Era certo lì sarebbe stata al sicuro, vagando tra il tondo del Botticelli, il fegato Etrusco, gli affreschi medievali, le bellissime carrozze restaurate, armi antiche e tantissime altre opere, per settimane, settimane e settimane.

Matilde girovagava osservando tutto, ascoltando la guida, disegnando quello che vedeva e scrivendo quello che sentiva sul suo taccuino. Era imprigionata lì dentro solamente perché il padre non aveva altro posto dove metterla, lei lo sapeva ma non provava rabbia, non si sentiva abbandonata, anzi grazie alla sua intelligenza riuscì a trasformare tutti volti dei dipinti nei membri della sua rinnovata famiglia, tutte quelle grandi stanze in una nuova casa e ogni nozione imparata in una ragione per non smettere mai di comprendere il vero senso delle cose, partendo dall’inconsueto ma comprensibile gesto d’amore di suo padre e capendo così come il vero sapere sia conoscere le vere cause.

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