Tra ambiente, cibo e anche chimica. Universi intervista il preside Trevisan

La redazione di “Universi” va alla scoperta della Facoltà di Scienze Agrarie, la più “antica” della sede di Piacenza dell’Università Cattolica di Piacenza. Lo fa con un’articolata e ricca intervista al preside Marco Trevisan.

Trevisan, al timone della Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali racconta il suo ruolo e anche la sua carriera che lo ha portato a diventare professore ordinario in Chimica Agraria, già direttore dell’Istituto di Chimica Agraria ed Ambientale e del Centro di ricerca Biomass.

Le domande sono state pensate e rivolte da tutta la redazione di “Universi” (nella foto). Non mancano le curiosità e le richieste di informazioni sulle prospettive di un settore fondamentale della nostra economia, come quello agroalimentare.

Prima domanda di Mauro Ferri: Professore, ci può spiegare qual è il suo campo di ricerca, qual è la sua formazione, che cosa ha fatto prima di diventare Preside della Facoltà di Agraria?

Di formazione io sono un chimico farmaceutico: mi sono laureato perché mi piaceva sintetizzare farmaci. Dopo la laurea, ho avuto la possibilità di venire a lavorare nell’Istituto di Chimica della Facoltà di Agraria e mi sono occupato per tanto tempo di pesticidi. Dall’83 mi occupo di questi “farmaci delle piante”, ovvero dei prodotti che agiscono nel regno vegetale e non nel regno animale.

I pesticidi vengono usati quasi sempre per curare le piante o per prevenire malattie vegetali, come quelli che eliminano gli insetti dannosi. I diserbanti sono quelli che vengono utilizzato contro le piante sgradite alle colture agrarie. Ho compiuto diverse ricerche per valutare quali erano i residui che si avevano di questi pesticidi negli alimenti che arrivano sulle nostre tavole.

E’ dalla fine degli anni ’80 e nei primi anni ‘90, che abbiamo iniziato ad occuparci di quello che succedeva ai pesticidi dispersi nell’ambiente: prima non era un problema che era considerato di interesse.

Poi c’è stato il celebre scandalo dell’atrazina che nel 1986 ha sollevato il tema della contaminazione delle acque di falda da pesticidi. Da quel momento in poi è intervenuta la legge fissando un limite e contestualmente è cresciuta enormemente l’attenzione nei confronti dell’impatto dei pesticidi sull’ambiente.

Nel frattempo abbiamo cominciato a studiare anche gli alimenti e altri fenomeni che erano collegati alle interazioni che avvenivano nel sistema delle colture agrarie: per aumentare la fertilità e la produttività delle piante.

Ultimamente mi occupo principalmente di alimenti: in particolare dei metaboliti secondari che si trovano negli alimenti stessi. I vegetali producono sostanze in funzione delle condizioni in cui crescono, si tratta degli alcaloidi, i terpeni, i polifenoli: possono essere molecole utili per uccidere chi mangia i vegetali. In alcuni casi sono sostanze conosciute da migliaia di anni dall’uomo, spesso utilizzate come medicamento o veleno. L’esempio più celebre è quello di Socrate che si è avvelenato mangiando la cicuta, che è una piantina che cresce nei campi.

Poi ci sono i terpeni, che hanno un’azione soprattutto repellente nei confronti degli insetti e anche di alcuni predatori più grossi. Infine ci sono i polifenoli, che sono quelle molecole che al gusto danno un senso tannico, i cosiddetti tannini: hanno un interesse notevolissimo perché rendono più o meno appetibile un prodotto alimentare, permettono di individuare se è quello “originale” o se è frutto di una sofisticazione e permettono anche di sapere dove è stato prodotto.

Stiamo lavorando su questa proprietà perché oggi è molto importante il discorso dell’origine degli alimenti. Si legge spesso di “pasta italiana prodotta con il frumento viene dal Canada”, oppure di pomodoro piacentino che in realtà viene dalla Cina, per fare due esempi classici.

Domanda di Roberta Capannini: come sta vivendo il suo ruolo di Preside della Facoltà di Agraria?

La mia elezione si è tenuta a fine giugno e io ho preso servizio dal primo novembre. Il passaggio di consegne – non lo nascondo – è stato impegnativo: da fuori si può pensare che il ruolo di preside sia semplicemente quello di chi “comanda”. In realtà ci sono una serie di incombenze quotidiane complesse, ad esempio, firmare centinaia e centinaia di documenti. Un altro impegno proprio del preside è la partecipazione alle riunioni del Senato Accademico, perché l’Università è strutturata con una giunta allargata nella quale partecipano tutti i Presidi (12), più il Rettore e il Direttore Amministrativo.

Il Senato si tiene a Milano, una volta al mese. È qualcosa che ha cambiato parecchio le mie abitudini: ho avuto per circa trent’anni in un ufficio dalle dimensioni modeste e invece ora quando vado a Milano mi trovo a frequentare saloni enormi e solenni: basti pensare che il Senato si tiene nella sala Negri-Oleggio, con una biblioteca bellissima, un grande tavolo dove siamo tutti seduti, ed ogni facoltà ha il suo posto, come una sorta di tavola di re Artù.

Per preparare i lavori del Senato, inoltre occorre seguire le commissioni dove si prendono le decisioni che vengono poi ratificate. Ci sono tutti i rituali accademici a cui non si può mancare, durante i quali bisogna vestirsi di tutto punto, con la fascia verde ed il cappello. E poi il preside diventa un po’ il confessore della facoltà, riceve i colleghi che presentano osservazioni, richieste, talvolta lamentele e problemi. È una cosa a cui non ero abituato.

Gran parte del tempo viene investito in queste attività. E naturalmente dobbiamo curare tutta la programmazione dell’attività didattica: un lavoro complesso e di grande rilevanza.

Domanda di Chiara Ruggeri: quali sono i rapporti con la Sede di Cremona della Facoltà? Avete avuto un buon riscontro da parte degli studenti con i nuovi corsi in inglese? C’è stato un incremento di iscrizioni di studenti stranieri?

Non esistono rapporti fra le due sedi perché noi le consideriamo appartenenti a un campus unico, quello di Piacenza-Cremona, dislocato su due diverse località. A Cremona un imprenditore privato ha fatto un ingente investimento economico per dotare di una nuova sede l’università: venti milioni di euro per restaurare il Convento di Santa Monica situato in centro città, che dispone di più di 10mila metri quadrati coperti.

Sono già partiti i lavori ed è destinato a diventare un campus per circa mille studenti: tenendo conto che oggi la sede della Cattolica di Cremona ne conta circa 350 fra Agraria ed Economia, in un complesso in gran parte inadeguato, con aule piccole e senza la possibilità di crescere. È ovvio che questo investimento porterà ad un salto qualitativo.

Le lauree in inglese sono due: una magistrale che è in Economics in Agricoltura, che è a Cremona e che ha un 45 studenti di cui circa il 10% sono stranieri. E poi abbiamo una laurea triennale denominata SAFE, ovvero Sustainable Agricultural Food Environment, qui a Piacenza ed è partita l’anno scorso. Ha avuto 19 iscritti di cui 10 italiani e 9 stranieri, quindi 50% sono da fuori Italia. È un percorso unico perché in lingua inglese sul bachelor, a livello europeo ce ne sono pochissimi, perché solitamente i corsi sono proposti nel percorso magistrale e non su quello triennale.

Voglio ricordare che anche per la sede piacentina dell’Università Cattolica sono arrivati importanti risorse private, tramite la Fondazione Invernizzi abbiamo investito recentemente 5 milioni di euro nella riqualificazione della azienda sperimentale della Facoltà, Cerzoo, che si trova a San Bonico. E’ un investimento che testimonia che noi vogliamo restare qua a Piacenza. Stiamo inoltre progettando un ampliamento complessivo degli spazi del campus piacentino.

Domanda di Hassan Haidane: quali sono le principali innovazioni e iniziative che si sono tenute all’interno della sua Facoltà negli ultimi anni?

La novità principale è stata la decisione di aprire un corso di laurea completamente in inglese a livello triennale. Ma c’è anche un’altra peculiarità, il corso che abbiamo creato condivide contenuti sia da Agraria che da Scienze e Tecnologie Alimentari: abbiamo cercato di riprodurre anche nella formazione il concetto che va dal campo alla tavola, per seguire tutta la filiera produttiva.

Normalmente chi frequenta Tecnologie Alimentari ha una visione minima di quello che avviene in campagna, perché si occupa principalmente della trasformazione. Viceversa, chi sceglie Scienze Agrarie ha facile accesso a quanto succede in campagna, ma conosce poco di quello che avviene nei processi di trasformazione industriale. Abbiamo così deciso di seguire per intero alcune filiere, come quella del vino, dei prodotti come pasta, pomodoro e il latte, che sono i nostri tre punti di forza.

Tengo molto anche al nostro dottorato di ricerca, che è il terzo livello di formazione universitaria. Nel 2006 l’allora Preside di Agraria Piva, di Economia Baussola e di Giurisprudenza Astorri, si misero d’accordo e tutti i singoli corsi di dottorato vennero inclusi nella stessa scuola AgriSystem, una scuola unica nel panorama italiano, che poi è stata imitata da altri. Permette di conseguire un titolo di dottore di ricerca (in inglese PhD) trasversale nel settore agro-alimentare. I nostri dottori acquisiscono così conoscenze di stampo giuridico, economico e agro-alimentare-ambientale.

Per questo tanti diplomati al dottorato sono arrivati ad alti livelli. Abbiamo un nostro diplomato che ha preso il PhD 5 anni fa, che è stato alla Mead Johnson, che è un’azienda americana che fa il latte in polvere per bambini, e adesso è un pezzo grosso della Ferrero.

Domanda di Hassan Haidane: quali sono le aziende in cui gli studenti scelgono con più frequenza di svolgere tirocini o stage, nel contesto piacentino e anche al di fuori?

Noi abbiamo tanti studenti, quindi trovare delle aziende in loco non è semplicissimo. Tra le realtà produttive locali che accolgono in stage i nostri studenti c’è sicuramente la Valcolatte, che è un’azienda di Pontenure, che ha un buon impatto. Poi abbiamo la Musetti, sempre a Pontenure, per il caffè. Sicuramente anche le aziende che trasformano il pomodoro. E poi ci sono diversi caseifici.

Dalla Facoltà di Agraria abbiamo tanti studenti che approdano in aziende agricole, qualcuno va nel settore viticolo ed enologico. Abbiamo anche la possibilità di fare degli stage post-laurea: dopo, da laureati magistrali, molti dei nostri vengono presi in grandi aziende come Barilla, Ferrero, Granarolo, Lactalis.

Sono moltissimi i nostri studenti che hanno trovato occupazione grazie allo stage. Il tessuto produttivo di Piacenza è fatto per lo più da piccole aziende, non abbiamo un’azienda alimentare di dimensioni tali da assumere decine di laureati alla volta come ad esempio Barilla.

Domanda di Daniele Ciolli: lei ha fatto cenno al grano canadese. Cosa pensa dei trattati di libero scambio? Cosa possono comportare per l’economia italiana? Un vantaggio, uno svantaggio, lei è favorevole o sfavorevole?

Premetto che io non sono un economista, pertanto è un argomento di cui non sono direttamente competente. È una domanda a cui è difficile dare una risposta. L’Italia esporta 42 miliardi di euro di prodotti agroalimentari: pensavo fosse un buon risultato, visto che i francesi sono a 50 e i tedeschi poco sopra. Poi ho scoperto che l’Olanda, che è grande come la Lombardia, ne esporta 87. Mi vien da dire che, a livello di esportazioni, siamo ancora deboli.

Se vogliamo esportare i nostri cibi all’estero dobbiamo scendere a compromessi: se decidiamo che in Italia non entra più nulla, è chiaro che poi anche gli altri metteranno i dazi e ostacoleranno i nostri prodotti.

Il vero problema è la protezione dei nostri marchi, purtroppo l’Italia non ha perseguito in passato una difesa spinta dei propri prodotti, come hanno fatto i francesi. La pizza la fanno ovunque nel mondo: hai voglia allora a sostenere che la pizza è italiana, come si fa a dimostrarlo quando è fatta in tutto il mondo?

Io personalmente sono convinto che i trattati sia meglio firmarli, invece di mettersi su posizioni di chiusura: bisogna ottenere le condizioni migliori, però come in ogni trattativa, qualcosa è inevitabile cedere.

Domanda di Daniele Ciolli: l’ingresso dei prodotti canadesi nel mercato agro-alimentare italiano che peso può avere? Può danneggiarci o no?

Noi oggi non siamo autosufficienti nel frumento, quindi se noi dovessimo vendere prodotti da forno utilizzando il frumento coltivato in Italia, saremmo al di sotto anche del consumo nostro. Storicamente, gli italiani non sono mai stati autosufficienti nel frumento, neanche al tempo del fascismo: non si è riusciti nemmeno con la “battaglia del grano” ad essere autosufficienti, anche allora era necessario importarlo. Siamo sempre stati dipendenti dal frumento e dal grano degli altri.

Secondo Lei, la produzione del grano a livello nazionale è insufficiente perché non si investe o perché mancano i mezzi?

Perché manca la terra. Si potrebbe forse migliorare la situazione. Però noi abbiamo tra i 13 e i 15 milioni di ettari coltivabili. Anche qui a Piacenza, se ci si fa caso, tanto terreno fertile è stato cementificato. Noi abbiamo ancora tanto di terreno ma si trova in collina, e in collina la produttività è più bassa che pianura, presenta delle difficoltà e spese ben maggiori.

Domanda di Chiara Ruggeri: se gli studenti non riescono a trovare lavoro nelle aziende locali, rimangono comunque in Italia o vanno all’estero?

All’estero fra i nostri laureati qualcuno ci va, ma non sono numeri elevati. Molti trovano sbocchi occupazionali nelle aziende multinazionali. Possiamo dire che fra i nostri laureati non abbiamo disoccupati.

Tanti lavorano in realtà come Granarolo, Ferrero, Barilla, Sterilgarda. Molti laureati, soprattutto in Tecnologie Alimentari, approdano anche nella grande distribuzione organizzata, quindi lavorano per la Lidl, la Coop, la Conad, l’Esselunga, e vanno anche ad assumere posizioni importanti.