Il giornalismo “de paura”

Più informazioni su

Il giornalismo “de paura”, mutuando il celebre Rokko Smitherson (regista “de paura”, sempre sia lodato), va forte. Non c’è che dire. Ce lo indicano chiaramente titoli e news prevalenti in molte testate: non c’è più speranza.

I giovani sono in preda a tutti i mali nella nostra società. Sono giovani e quindi fragili, in balìa dell’assenza di valori, a caccia esasperata del piacere immediato, della trasgressione a tutti costi. Sono vittime. Ma ci sono anche i carnefici: i bulli, i cyberbulli, le babygang e chi più ne ha, più ne metta. Non parliamo dei profughi che ci hanno invaso – criminali potenziali per definizione – anche se ultimamente (con l’interruzione dei nuovi arrivi) sono un po’ in declino.

E non passa giorno senza una statistica – la fredda oggettività dei numeri – che misura il nostro livello di perdizione. Uno su tre si droga. Uno su due gioca d’azzardo. Tutti siamo scontenti, infelici. Addirittura tristi. I più tristi di tutti. Ah poi, più sei idiota e più sei notizia. Stai certo che ti condividono tutti. E se fai un’idiozia come dio comanda, ti conquisti “pisciate” (scusate il francesismo) di riflessioni e approfondimenti.

Sia chiaro, lungi da noi la retorica delle “buone notizie”. Vade retro. La retorica delle buone notizie è l’altra faccia della medaglia del “giornalismo de paura”. Entrambe sufficientemente ipocriti e funzionali alla ricerca (disperata, quella sì) di lettori in fuga.

Qui non si tratta di censurare. Di nascondere le notizie. Il vero tema è il seguente: cosa significa scrivere su un giornale nel 2018, assumendosene a pieno la responsabilità. Ci siamo rassegnati a fare i meri “venditori” di informazioni, un tanto al chilo, o c’è ancora una missione racchiusa in questa professione?

In un mondo straordinariamente complesso e articolato, dove l’horror vacui informativo fa il paio con il rischio di annegare nella marea di news alla portata di tutti, avremmo bisogno più che mai di una funzione educativa dei media.

Lo ripeto senza il timore di sembrare ridicolo o presuntuoso: funzione educativa. Giornali e testate capaci di selezionare, vagliare con attenzione, sporcarsi le mani col tema della “scelta” delle notizie in funzione di chi le leggerà. Magari rinunciando alla logica del click (o della vendita) a qualunque costo.

Il giornalismo “de paura” non fa che alimentare e nutrirsi di paura, il carburante emotivo più diffuso del nostro tempo. La politica ne sa qualcosa. Un certo Italo Calvino lo aveva già scritto un po’ di tempo fa.

L’inferno dei viventi, non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Mauro Ferri

Più informazioni su

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di PiacenzaSera, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.