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Le imprese italiane cercano 150mila tecnici, ma non ci sono

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ITSMAKER è un Istituto Tecnico Superiore che ha quattro sedi, dislocate lungo la Via Emilia, da Bologna fino a Parma, passando da Modena e Reggio Emilia. ITS MAKER Istituto Superiore Meccanica, Meccatronica, Motoristica e Packaging dell’Emilia Romagna – questo è il nome completo – forma ogni due anni circa 130 giovani che rappresentano una minima parte dei diecimila studenti italiani che frequentano un ITS. Oltre l’80% di loro, entro un anno dal conseguimento del diploma di Tecnico Superiore, troverà senz’altro un lavoro coerente con le competenze acquisite.

FONDAZIONE ITS PIACENZA invece è un Istituto Tecnico Superiore della supply chain e dei sistemi informativi logistici. Nel biennio 2014-2016 su 60 iscrizioni e 47 partecipanti alle selezioni, sono stati selezionati 26 giovani che hanno partecipato ai corsi di formazione. Di questi, 20 sono stati esaminati e diplomati, e 19 hanno trovato lavoro nel giro di poco tempo.

Due esempi di eccellenze della nostra regione che preparano giovani ad inserirsi in modo adeguato nel mercato del lavoro, in risposta ad una domanda di lavoro che fatica a trovare personale preparato.

L’ultimo monitoraggio del MIUR, infatti, conferma che più dell’80% dei diplomati ha trovato lavoro nel giro di pochi mesi. Merito di un percorso formativo di tipo tecnico che tiene conto delle caratteristiche del nostro sistema economico. Gli ITS sono organizzazioni formative che coinvolgono imprese, enti pubblici, centri di ricerca ed associazioni di categoria, al fine di garantire una formazione adeguata alle reali esigenze delle imprese, ed una “certezza” occupazionale ai tanti giovani che si affacciano sul mercato del lavoro.

E’ una risposta al fenomeno che gli inglesi definiscono Skill Mismatch, ovvero il gap esistente tra le competenze dei potenziali lavoratori e quelle richieste dalle imprese.

Purtroppo si tratta di una timida risposta. I novantacinque ITS presenti in Italia, che offrono percorsi formativi post diploma della durata di due anni, dislocati in prevalenza nel nord Italia, attualmente contano poco più di diecimila iscritti, contro una domanda di lavoro da parte delle imprese, stimata nei prossimi cinque anni, di oltre 150 mila tecnici.

Un paradosso. Se si pensa che la disoccupazione giovanile, secondo i dati pubblicati dall’Istat, è del 31,7% nella fascia 15 – 24 anni e del 16,0% nella fascia 25 – 34 anni, risulta difficile spiegarsi perché le imprese non riescano a trovare giovani lavoratori.

I profili maggiormente richiesti riguardano i settori della meccatronica, della meccanica, della logistica, della chimica, del tessile, dell’alimentare, del turismo, dell’Ict e del benessere. Gli ITS italiani seguono la domanda del mercato del lavoro. Il 40% degli iscritti è inserito nel percorso formativo “nuove tecnologie per il made in italy”, il 20% l’”efficienza energetica”, l’11,5% l”ICT”, l’11% le “nuove tecnologie della vita”, il 10% la “mobilità sostenibile” ed il restante 7,5% degli iscritti è inserito nel percorso formativo “turismo e cultura”. Ce n’è per tutti i gusti.

Certo che non si può pensare che un giovane interessato alla letteratura italiana possa immaginare il suo futuro professionale in un’azienda del comparto tessile o meccanico. Sono gli effetti di un “eccesso di libertà” di cui soffre (o gode) il nostro Paese, direbbe qualcuno. Che sommato ad una inadeguata capacità di programmazione del nostro futuro lavorativo, crea un fenomeno, tutto italiano, che i colleghi europei faticano a comprendere.

In Germania, ad esempio, le cose funzionano in modo diverso. Per la classe media, il futuro di ogni tedesco è predeterminato dalle istituzioni. Non è il singolo individuo a scegliere quale scuola frequentare, ma l’istituzione scolastica, in base a valutazioni sulle quali il genitore non può proferire parola. Le Fachhochschulen, il corrispondente tedesco dei nostri ITS, superano il milione di studenti. Un rapporto di 1 a 100.

ITS a parte, la domanda da porsi è: che fine fanno i diplomati tecnici italiani? Negli ultimi dieci anni sono diminuiti in modo sorprendente le iscrizioni agli istituti tecnici e professionali. Per contro invece sono aumentati i liceali. Secondo uno studio realizzato dalla Fondazione Agnelli, più della metà dei diplomati italiani, a due anni dal diploma, si accontenta di un lavoro qualsiasi. Un dato preoccupante, su cui vale la pena riflettere. Ma mentre noi riflettiamo, i tecnici tedeschi premono alle porte. Una nuova ondata di invasione barbarica?

Andrea Lodi (economix@piacenzasera.it)

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Commenti

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  1. Scritto da AMX

    Dovreste essere più precisi: le imprese italiane cercano 150.000 tecnici da pagare 800-1000 euro al mese sarebbe il titolo corretto.