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Londra: Soft o Hard Brexit?

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Il Sole24Ore, giocando sul nome della Prima Ministra inglese, e sul messaggio di allarme utilizzato nelle comunicazione radiotelefoniche, ha titolato: “Mayday! Londra in crisi sulla Brexit”. Il gioco di parole ci sta.

Sono trascorsi due anni da quel fatidico 23 giugno 2016, durante il quale la maggioranza degli inglesi decise di lasciare l’Unione europea. Fu uno shock per l’Europa, ma soprattutto per il Regno Unito. L’allora Premier, David Cameron, dovette rassegnare le dimissioni. Fu scelta l’austera e rassicurante politica di lunga data Theresa May, al posto dell’irascibile Boris Johnson, a guidare il governo Conservatore.

Da due anni la May sta cercando di adottare una linea accomodante con l’Unione Europea (la cosiddetta Soft Brexit), allo scopo di contenere i danni che ne deriverebbero da una totale uscita dall’Europa unita. Solo una settimana fa sembrava che il suo governo avesse accettato la strategia proposta dalla May. In questi giorni le cose sono cambiate. La strategia soft rischia di fare barcollare il Governo: prima con le dimissioni del ministro per la Brexit Davis Davis, poi con quelle del suo collega degli Esteri Boris Johnson.

D’altronde l’istrionico Boris Johnson non ha mai nascosto le forti pulsioni antieuropeiste, e ritiene che sia giunto il momento per dare la spallata definitiva al barcollante Governo di Theresa May e candidarsi alle prossime elezioni per la premiership. Forte di una carriera costruita sotto l’insegna della “Hard Brexit”, approfitterebbe della visita a Londra del Presidente USA Donald Trump, per stabilire le basi di una serie di accordi commerciali con gli USA, anch’esso in forte contrasto con l’Unione Europea.

Non tutti però considerano il Governo May in una posizione rischiosa. Pare che i “falchi” di Downing street non vedano di buon occhio una “Hard Brexit” senza compromessi, che provocherebbe, a detta di chi sa fare i conti, significativi danni all’economia. Nel frattempo gli speculatori finanziari gioiscono sulla instabilità della sterlina. La Bank of England, guidata dall’autorevole Mark Carney, ovviamente no. È presto, infatti, per dire l’ultima parola. May ha dimostrato in più occasioni di saper reggere gli urti, soprattutto interni al suo partito.

Bill Emmott, ex direttore dell’Economist, intervistato da Repubblica, è dello stesso parere: “I fautori dell’hard Brexit non hanno abbastanza forza per creare una fazione che possa estromettere Theresa May. E poi una crisi aperta porterebbe a elezioni anticipate che quasi di certo sfocerebbero nella vittoria del Labour e nessuno vuole questa responsabilità. È quindi probabile che May continuerà a governare in una situazione molto fragile e instabile. Presto la Gran Bretagna dovrà accettare la realtà: se vuole avere rapporti con la Ue deve anche sottostare a una qualche forma di controllo. Ci avvicineremo a uno status molto simile a quello della Norvegia”.

Andrea Lodi (economix@piacenzasera.it)

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