Hikikomori, ragazzi che vivono chiusi nella loro stanza: a Piacenza nove casi segnalati dalle scuole

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Uno stato di completo ritiro sociale, così lo psichiatra giapponese Saitō (1998) caratterizzò la condizione degli hikikomori (in giapponese “stare in disparte”), quei ragazzi – per lo più adolescenti – che si isolano nella loro stanza, rinunciando a tutto e tutti.

Negli anni 2000 questa manifestazione psico-sociale si è mostrata anche al di fuori della cultura giapponese. In Italia il fenomeno era ancora poco conosciuto ma si è diffuso progressivamente.

Solo in Emilia Romagna l’Ufficio Scolastico Regionale con lo studio Adolescenti “eremiti sociali” ha rilevato 346 segnalazioni (164 maschi e a 182 femmine) da parte degli istituti scolastici.

Nove quelle arrivate dalla provincia di Piacenza – che riguardano 5 ragazzi e 4 ragazze – tutte provenienti da scuole secondarie di secondo grado.

La fascia di età a maggior rischio – evidenzia lo studio – è quella di passaggio tra la scuola secondaria di I e di II grado; tra i 13 e i 16 anni si collocano 203 segnalazioni su 346, poco meno del 59% del totale.

“Questo fenomeno – osserva l’Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna -, che non deriva da un disturbo mentale preesistente e non è assimilabile ad altre situazioni apparentemente simili, potrebbe avere cause diverse – caratteriali, sociali e familiari – o essere il risultato di una serie di concause. Il denominatore comune è dato sia dall’isolamento, dovuto soprattutto alla paura del confronto con l’altro, che può durare mesi o anni, sia dal fatto che è una manifestazione che non si risolve spontaneamente”.

“Questi ragazzi – viene sottolineato – si rifiutano di uscire, di vedere altre persone e di avere rapporti sociali, vivono interamente nella loro stanza. La camera diventa il rifugio dove leggere, disegnare, dormire, mangiare, giocare con i videogiochi, chattare e navigare su internet e dove salvaguardarsi dal sentimento della vergogna che nasce dal timore di non essere all’altezza delle aspettative”.

“Un hikikomori, passando molto tempo nello stesso spazio, l’ambiente-stanza, ripetendo la stessa routine quotidiana e le stesse attività, si costruisce un mondo che gli può apparire come l’unico possibile per sé”.

“La sindrome di hikikomori non è riconosciuta come malattia, è un disagio che se non curato può portare a una situazione patologica. Spesso viene scambiata erroneamente con altre psicopatologie come la dipendenza da internet, la depressione e fobia sociale. Queste, dopo un lungo periodo di isolamento, possono manifestarsi, ma questi stati sono l’effetto non la causa”.

L’inizio e la fine delle scuole superiori sono tra i momenti di maggiore rischio per l’insorgere del problema, perché – viene spiegato “i ragazzi si trovano a confrontarsi con contesti nuovi e, contemporaneamente, l’impegno per le scelte che indirizzeranno il loro futuro sociale e lavorativo richiede un’importante messa alla prova psicologica”.

Il primo allarme può essere rappresentato da frequenti assenze da scuola, altri segnali possono essere, oltre alla autoreclusione nella propria stanza, l’inversione del ritmo sonno-veglia e la preferenza per le attività solitarie.

Secondo lo studio dell’Ufficio Scolastico Regionale “occorre definire un percorso educativo, pedagogico e didattico che possa contribuire alla prevenzione del ritiro sociale e delle manifestazioni psicologiche che lo accompagnano: depressione, ansia, angoscia, fobie, disturbi ossessivi e compulsivi, idee suicidarie, rabbia, mancanza di sonno, problemi alimentari, e così via”.

“Il ritiro sociale – osservano -, comunque lo si voglia classificare, ha a che fare con il problema dello sguardo dell’altro, lo sguardo che definisce chi sei, chi non sei, a che livello sociale ti poni, al limite che dice se esisti oppure no”.

“Quante persone, anche adulte, – è la riflessione finale – oggi sostengono che non essere su Facebook significa non esistere? Così abbiamo di fronte due tipi di condotte sociali, per quanto riguarda lo sguardo altrui: quelli che si sentono vivi ed esistenti soltanto se guardati da qualcuno (possibilmente da molti) e gratificati dai like, oppure quelli che rifiutano di offrire il proprio corpo a questa visibilità (o perché ne rifiutano il modello o perché non si sentono all’altezza degli standard, per altro fallaci e fasulli) occultandosi nel buio della propria camera”.

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