Le Rubriche di PiacenzaSera - Nave in bottiglia

“Addio Manlio, mi mancherà la tua discrezione”. Il ricordo

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Nella sua “Nave in Bottiglia” Mauro Molinaroli ricorda l’amico Manlio Tambresoni, recentemente scomparso

Ci sono notizie che fanno male. Riempiono il cuore di dolore. Quando ho saputo della scomparsa improvvisa di Manlio Tambresoni, un amico oltre che una persona intelligente, riservata e particolarmente sensibile, ho pensato quanto la nostra esistenza sia terribilmente fragile e quanto la morte sia una dannata sorpresa per dirci che siamo stati licenziati.

Mi sono venute in mente le volte (ultimamente rare) in cui ci vedevamo e ho pensato che avevamo molte cose in comune, eravamo catturati degli stessi miti giovanili, ascoltavamo le stesse canzoni e anche nelle letture c’era una profonda similitudine; saltava fuori tra noi una reciproca assonanza che andava da “Luci a San Siro” di Roberto Vecchioni alle ironiche analisi sulla politica locale, ai libri che Manlio leggeva.

Avevamo conoscenza comuni rafforzate dalla mia amicizia con il fratello Gianluigi (per tutti Tambrino da una vita). Manlio aveva lavorato nelle Ferrovie di Stato, era da anni in pensione e si era diviso per molti anni tra la Loano, Genova e Piacenza.

Difficile definirlo, perché era riservato, attento, mai sopra le righe e soprattutto dietro a quei baffi alla Ion Tiriac, un grande tennista rumeno degli anni Sessanta e Settanta, si nascondeva una velata e sincera ironia; nella sua discrezione sapeva aprirsi e parlavamo di tutto, anche di quel tennis dal quale spesso si difendeva.

In particolare durante le stagioni del Grande Piacenza in serie A, si discorreva di Cagni e delle sue esperienze professionali genovesi, di grandi cantautori, di film indimenticabili e di città tanto diverse, Genova e Piacenza, entrambe comunque circospette come una canzone di Paolo Conte.

Ci si trovava ogni tanto dal Gnasso, soprattutto in qualche domenica pomeriggio d’estate; si parlava di noi, di quel che avevamo perduto e di ciò che non più avremmo potuto ritrovare, di donne bellissime e di cocenti delusioni d’amore, di calciatori che avrebbero potuto vivere da campioni e che invece avevano perso.

E poi quella passione innata che era il tennis, quei ricordi ai quali non voleva attaccarsi, i ragazzi che allenava; era stato un atleta a tutti gli effetti, la “Nino” è stata per anni la sua seconda casa, ho letto che dal punto di vista tecnico era particolarmente dotato, uno dei giocatori più forti dei suoi tempi, in grado di distinguersi anche a livello nazionale.

Ma queste sono storie che non mi appartengono; Manlio era rispettoso e troppo discreto per tirare fuori i suoi successi. Ha saputo, in una società costruita sull’apparenza, essere invisibile tra tanti che spintonano per una foto o per un’intervista.

Ho voluto bene a Manlio, lo stimavo per quella sua faccia da Gringo, duro in superficie ma tenero sotto la scorza. Mi fa bene ricordarlo, penso che nonostante ci vedessimo di rado, mi mancherà, penso che guccinianamente, ricordando un brano che ci univa moltissimo, “Incontro”, “siamo qualcosa che non resta / frasi vuote nella testa / e il cuore di simboli pieno”.

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