La musica che “rompe” il filo spinato dei lager. Il pianista Francesco Lotoro la racconta

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Anche nei luoghi dell’orrore più feroce la bellezza continua a fiorire e la musica diventa cibo per l’anima.

Può sembrare una contraddizione, una frase di circostanza, ma spartiti e documenti ritrovati nei lager o nei campi di prigionia lo dimostrano. Mentre il pianista Francesco Lotoro, recuperando i testi in un impegnativo lavoro di archiviazione documentaria che dura da oltre trent’anni, illumina quella che costituisce una vera e propria “letteratura musicale concetrazionaria”, capace di rompere il silenzio più tetro.

8000 opere musicali e 12000 documenti finora reperiti, l’appuntamento a Piacenza con Lotoro è stato duplice: un doppio racconto – concerto al pianoforte, al mattino riservato alle scuole nella sala degli Arazzi della Galleria Alberoni la sera aperto a tutti presso l’Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, per ricordare i “Chiusi dentro”, “la musica per sopravvivere al filo spinato”. Un’iniziativa considerata tra le più importanti della mostra-evento “Dis-chiusure”.

Un viaggio al pianoforte nei campi di lavoro, prigionia, sterminio tra il 1933 e il 1953 (anno della morte di Stalin e della progressiva amnistia dei prigionieri politici) per scoprire, divulgare e salvare un inestimabile patrimonio dello spirito. Ma il focus di Lotoro è sopprattutto la seconda guerra mondiale.

“Quella concentrazionaria è letteratura musicale di alta qualità, che comprende tutti i generi – spiega il pianista-, tanto che spero fra cinquant’anni, quando il processo di assimilazione avrà fatto il proprio corso, diventerà normale ascoltarla nei teatri, nei conservatori, come tutta la grande musica”.

Dall’Europa all’Asia, diverse provenienze geografiche e sociali e differenti motivi di prigionia si sovrapprongono e si mescolano nei campi. Come in una “metropoli compressa”, le identità di chi è detenuto per ragioni pseudo-razziali, politiche, di diversa abilità, diventano invisibili, contaminandosi.

“Ma se la contaminazione era il pericolo da scongiurare nel Terzo Reich, per la musica creava una straordinaria risorsa”- sottolinea Lotoro. Dalla contaminazione nasce un capolavoro religioso, uno tra i tanti: la meravigiosa messa del quacchero William Hisley, scritta nel Natale del 1943 per i cattolici del suo stesso campo.

“Mi piace pensare – continua il pianista – che nel buio dei campi la sensibilità del musicista abbia incontrato, almeno per un istante, quella del kapò. E in questo sono confortato dai dati. Su 100 persone internate in un lager infatti, cinquanta facevano musica, per diletto o professione”.

“Sei orchestre a Theresienstadt, sette nei tre lager di Auschiwitz, orchestre in tournèe nei campi tedeschi per prigionieri di guerra: “Tutto questo non poteva essere clandestino – osserva -, evidentemente i nazisti dovevano permetterlo”.

E se anche gli strumenti suonati furono molto diversi, dalla fisamormica, alla tascabile ocarina, al violino, alla chitarra, fino al pianoforte, tra i pezzi più prestigiosi non si può non ricordare “Favola di Natale” di Giovanni Guareschi. Musicata però da Arturo Coppola nel lager di Sandbostel, vittorioso nel tentativo di non separarsi dall’amata fisarmonica.

Volti e voci, strappati all’improvviso alla vita e ai loro talenti dalla brutalità nazista, escono dall’ombra dei lager con la forza della loro musica. Mentre Francesco Lotoro interpreta la “Suite Terizin” di Karel Berman (1919-1955), altamente drammatica ma più potente della disperazione.

Cantante e direttore d’orchestra ceco, Berman, deportato a Theresienstadt nel 1943, venne trasferito ad Auschwitz l’anno successivo. Dopo ulteriori spostamenti, liberato a Dachau nel 1945. Diversamente da lui, musicisti e strumentisti di provato successo teatrale si sono spenti nei campi, rimanendo stampati nella trasversale universalità di una letteratura senza tempo.

Ancora poco considerata, la “letteratura concentrazionaria” appare un’espressione sgradevole, da evitare. Ma si tratta di arte. Complessa, variegata: drammatica o cabarettistica, impegnata o leggera. E come tale va ricordata.

“Saranno circa centocinquantamila, alla fine del percorso di recupero e catalogazione, gli autori di questo patrimonio musicale destinati a confluire nella cittadina culturale di Barletta – conclude Francesco Lotoro -. Un progetto in divenire”.

La musica dei lager non salva la vita, ma nutre di dignità l’anima di chi, fino all’ultimo cerca di resistere all’annientamento. Lo dicono ancora oggi note capaci di raccontare, ben più di parole rotte da un freddo silenzio di morte.

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