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Immigrati e lavoro a Piacenza: oltre il detto e il percepito

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Immigrati a Piacenza: oltre il detto e il percepito

Tanto si è detto e ancora tanto si dice sugli immigrati che arrivano nel nostro Paese. Da una parte ancora chi li ritiene un pericolo per “i confini” e il benessere sociale, dall’altra chi, per ragioni umanitarie o di altro tipo, incoraggia ad accogliere i più bisognosi qualunque sia la loro provenienza la condizione e il progetto di vita.

Tra questi due estremi ci sta una numerosa serie di interventi volti a governare al meglio il fenomeno in corso senza che però nell’arco di 20-30 anni ci sia stato un significativo miglioramento nella gestione degli arrivi e dell’ospitalità dei nuovi arrivati. Ciò nondimeno credo però che, a dispetto delle fallimentari scelte politiche che legislature di diverso colore hanno sostenuto negli anni, il popolo degli stranieri ce la stia facendo.

Intanto che un susseguirsi di luoghi comuni quali “brava gente” “casa loro o casa nostra” “poverini” “terroristi” “clandestini” “delinquenti” (anzi: clandestini e quindi delinquenti) genera una confusione che tende a strumentalizzare la realtà a favore dell’una o dell’altra ideologia, questa umanità trafelata, in buona parte ancora invisibile, si organizza cercando di occupare spazi abbandonati o lasciati liberi da una società presumibilmente rivolta ad altri obiettivi, quasi distratta e troppo rilassata.

Non credo che l’azione degli immigrati sia una prepotente sottrazione dei nostri spazi e dei nostri privilegi anche se è vero che più il benessere è diffuso e condiviso e più la garanzia di benessere prolungato è per tutti. A dire questo non è solo il Papa, la cui finestra è sempre quella di san Pietro, ma studiosi economisti di provata esperienza in grado di guardare al futuro con uno sguardo laico e disinteressato.

In materia di immigrazione le norme in vigore, anche le più recenti, non riescono a tenere il passo con una realtà che avanza (anzi, ci sopravanza) e si trasforma rapidamente e che per la sua complessità andrebbe forse osservata con occhio clinico e cuore aperto dal momento che non c’è modo di tenere sotto controllo qualcosa che sta avvenendo al di là delle nostre previsioni.

Si tratta di un fenomeno di cui, a breve termine, non è possibile conoscere l’esito, che ha assoluta necessità di essere gestito nel migliore dei modi, ma che per la sua stessa natura chiama in causa, fin da ora, una riflessione sui diritti della persona e sulla presa di coscienza che non c’è merito nell’essere nati nella parte ricca del mondo. E poi osservo alcune famiglie straniere e provo un certo piacere nel vedere che sono capaci di fare cose che a me sembravano smarrite e che in qualche misura dovremmo tentare di reimparare per la salute del Pianeta.

Per esempio la capacità di alimentarsi sfrondando la spesa dai generi superflui, di vivere in case dignitose ma essenziali senza spreco di spazio, senza spreco di acqua. La capacità di mettere al mondo dei figli senza ritenerli un problema e di educare i più grandi ad occuparsi dei più piccoli, di aggiustare un passeggino un po’ sgangherato, di passarsi gli abiti smessi.

Questo non significa che per gli immigrati non ci sia la stessa nostra tensione al benessere e al comfort, ma per quello che ho potuto riscontrare in generale permane in loro una consapevolezza più viscerale rispetto a ciò che può garantire la sopravvivenza di tutti. Potremmo dire una memoria “a rilascio lento” che ci lascia un maggiore margine di respiro e un tempo più umano di adattamento.

Come dicevo il popolo degli stranieri anche a livello locale, per quanto non ancora adeguatamente coinvolto negli ingranaggi della politica e dei luoghi di governo, sta lasciando un segno significativo nel mondo del lavoro. Nella nostra città la presenza di stranieri è pari al 20% e buona parte di questi ha realizzato sul nostro territorio importanti iniziative imprenditoriali di diverso genere.

Presso la Camera di Commercio risulta che un terzo delle attività in proprio hanno titolari stranieri*, mentre il problema della disoccupazione è per ovvie ragioni assai contenuto e transitorio in quanto titolo prioritario per poter mantenere il permesso di soggiorno, almeno per i cittadini non comunitari.

Mi sembrerebbe interessante all’interno di questa rubrica poter aggiungere qualche dato ricavato dalla diretta testimonianza dei titolari di imprese e iniziative commerciali. Prima di tutto perché conoscere la genesi di tali esperienze arricchisce la conoscenza sulle potenzialità della nostra provincia e poi perché dare la parola agli stranieri mi sembra il modo più semplice per comprenderne la realtà e le esigenze scongiurando il rischio di sovrapporre il nostro immaginario, buonista o sovranista che sia, a ciò che veramente per un nostro simile rappresenta la vera risposta culturale ed esistenziale per sé. E per noi l’opportunità di convivere con persone di cui non è più possibile fare a meno.

Michela Riboni

* (pubblicato il 21.08.2018 dalla Camera di Commercio di Piacenza)
Sono 3.281 le imprese gestite da stranieri in provincia di Piacenza e rappresentano l’ 11,1% del totale delle imprese registrate. Le dinamiche anagrafiche dell’anno evidenziano un saldo positivo per 64 unità e un tasso di crescita del 2%.

Con una incidenza dell’11,1% sul totale delle imprese registrate Piacenza si colloca al 18° posto nella graduatoria delle province italiane per presenza di imprese straniere, classifica che assegna la prima piazza alla provincia di Prato con una quota del 27,9%, mentre il dato medio nazionale è pari al 9,6%.

Il settore in cui sono maggiormente concentrate le imprese straniere di Piacenza è quello delle Costruzioni, con 1.432 realtà imprenditoriali, seguito dal Commercio, con 651 unità e dai Servizi di Alloggio e ristorazione, con 304 imprese.

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