Cronache e libri dal weekend letterario di “Transumanza” a Cerignale foto

Cronache e libri dal weekend letterario a Cerignale: racconti diversi per reiventare mondi

Il festival letterario“Transumanza-Libri e lettori in movimento”, ha ospitatato a Cerignale diversi scrittori e personaggi di fama, portando alla ribalta loro ultime opere letterarie. Si tratta solo di una delle numerose iniziative che hanno l’obiettivo di rilanciare la montagna, perchè da “luogo di margine” torni ad essere centro.

Racconti diversi, che forse superano la categoria del genere, ma accomunati dall’idea, dalla necessità di reiventare mondi. Non però fantastisci, inesistenti. Al contrario piuttosto realistici. Diverse forme, potremmo dire, di Resistenza all’anonimia e all’indifferenza che alle volte- non sempre per fortuna- oggi sembrano prevalere.

“Donne per la libertà: la Resistenza di Sampierdarena” – Massimo Bisca, presidente provinciale Anpi di Genova, ha ricordato il contributo essenziale delle donne nella Resistenza italiana durante il fascismo e la seconda guerra mondiale – soprattutto in Liguria e nel genovese – con il suo ultimo libro: “Donne per la libertà: la Resistenza di Sampierdarena”.

“Non campiremo la particolarità della Resistenza italiania e genovese – ha detto – “se non mettiamo in risalto il ruolo delle donne, che da un lato partecipano e incoraggianno gli scioperi nelle fabbriche, spesso staccando materialmente i fili della corrente, dall’altro portano la rivolta nelle strade, nei quartieri; una guerra di popolo anche senza armi. Con volantini che chiedono pane, pace, pari dignità salariale, e scritte di ribellione sui muri.”

Con le donne della Resistenza il partito illegale diventa di massa, la rete della stampa clandestina si fa capillare e l’organizzazione stessa delle brigate partigiane si consolida. Soprattutto a Sampierdarena, “cruciale per la sua funzione di cerniera tra il Ponente e la Valpocevera – spiega Massimo Bisca -. Qui sono donne come Vincenzina Musso, detta ‘Tamara’, Maria Carrea, nome di battaglia “Mimina”, oppure Iolanda Concolini, ‘Gigia’ (alcune delle quali ho avuto la fortuna di poter intervistare di persona); insieme a uomini che diventeranno figure leggendarie della lotta partigiana, come Buranello e Fillak, a creare quella prima rete di trasporti, rifugi e aiuti per i soldati in fuga, depositi di materiali, che nei momenti più difficili saranno punti importanti dell’organizzazione cospirativa genovese”.

E dopo l’8 agosto del 1944, in provincia di Genova tra la Valpolcevera e la Val Bisagno nasce la Brigata interamente femminile Alice Noli, in memoria della partigiana di Campomorone torturata e fucilata dai fascisti per il suo contributo attivo e costante alla Resistenza. Dopo la sua morte saranno 108 le donne a lottare in suo nome; un caso unico quello di Genova nella storia d’Italia, dove comunque le donne sono state sempre determinanti. E suonano ancora attualissime oggi le parole di due donne, divenute parte dell’Assemblea Costiuente dopo la Liberazione: “Non saremo veri italiani finchè non interpreteremo a pieno la Costituzione della Repubblica”- ha detto Nilde Iotti-. Mentre Tina Anselmi: “Anche se non eravano obbligate, io ho scelto da che parte stare perchè ho visto 12 ragazzi impiccati a Bassano del Grappa. E ho deciso che bisognava esserci”.

Considerazioni che si uniscono, all’unisono, con quelle di uno straordinario democristiano, Aldo Moro: “La nostra Costituzione non potrà mai limitarsi ad essere a-fascista, ma deve continuare ad essere antifascita, altrimenti non se ne capisce il segno”. “E anche oggi – conclude il presidente dell’Anpi genovese – dobbiamo essere uniti, uomini e donne, a difendere a gran voce la tutela dei diritti umani”. La fragilità di una democrazia avvelanata da chi, nella paura e nel rancore, trova terreno fertile per nutrire il proprio consenso elettorale.

Il movimento delle foglie di Ludovico Del Vecchio – Approda al Festival di Cerignale, fresco di libreria, Il movimento delle foglie di Ludovico Del Vecchio – Elliot Edizioni-, terzo capitolo della sfida mortale fra il poliziotto italo-belga Jan De Vermeer e il killer Alberto Bacenigo. Ultimo green triller dell’autore modenese dopo “La compagnia delle piante”, per Elliot Edizioni 2017 e “La cura degli alberi” per Elliot 2018.

La presentazione al Festival è stata occasione proficua per dialogare con l’autore e con il dottor Marco Barozzi, anch’egli modenese, amico di Del Vecchio e personaggio del libro, sull’importanza degli alberi per la vita di tutti.
Lo sanno bene alcuni personaggi del libro, tanto che a un tratto in città compaiono murales che annunciano la nascita di nuovo gruppo ecologico: il Movimento delle Foglie, con lo scopo di salvare un bosco e la comunità che ci vive.

“Ma soprattutto lo dice la scienza – sottolinea del Vecchio-: nei quartieri urbani ben tenuti, ricchi di vegetazione, puliti e quindi esteticamente gradevoli, diminuisce la criminalità e quindi aumenta il benessere”. L’autore ne è ben consapevole, se proprio a questo scopo da anni cerca di rendere la sua Modena più verde: prima con azioni di guerrilla gardening (giardinaggio d’assalto), piantando alberi nello spazio urbano senza autorizzazione, e ultimamente con la collaborazione del comune cittadino, che gli indica tutti gli spazi possibili da poter rinverdire.

Esempio che andrebbe imitato diffusamente. Ma c’è chi gli alberi, invece, li teme. Lo si legge nel libro e lo ricorda il dottor Barozzi: “Si chiama ‘dendrofobia’ ed è la paura documentata che i rami degli alberi crollino addosso a persone o cose – ha spiegato -. Una buona scusa utilizzata dai comuni per tagliare le piante troppo spesso, consevare pochi alberi momunentali e non impiegare unanimi regole diffuse che consentano un virtuso mantenimento e un opportuno ricambio del verde”.

Insostituibili motori di benessere, le piante abbassano sostanzialmente le temperature, purificano l’aria, migliorano l’estetica. Fanno insomma da prezioso contrasto ai cambiamenti climatici in atto, che tutti ci riguardano e tutti preoccupano – forse -? O almeno dovrebbero. D’altra parte – sembra dirci il libro – se in queste pagine la bicicletta pare avere la meglio sulle macchine, in realtà l’unica categoria per cui le città italiane appaiono davvero pensate, si presume quella degli automobilisti. “Con ciclisti italiani che sembrano gli eroi incompresi del nostro tempo”- fa notare Del Vecchio. Migliorare e cambiare rotta allora si deve, cominciando dai comportamenti dei singoli fino alle strategie globali. Ma quanta strada resta da fare?

La sua voce è profumo. Passeggiata letteraria tra aromi, odori, fragranze di Giovanna Zucconi – Quella con Giovanna Zucconi, illustre ospite del Festival insieme al marito e collega giornalista Michele Serra, è stata davvero una deliziosa passeggiata tra aromi, odori e fragranze. Un viaggio particolarmente propizio in un luogo di acqua, di prati, d’aria e di incontri come Cerignale, che però, in questo caso, non è servito a dipingere o far odorare le pagine di un nuovo libro.

Perchè della sua ultima opera, “La sua voce è profumo. Passeggiata letteraria tra aromi, odori, fragranze” (Mondadori), Giovanna Zucconi non ha, in realtà, neppure parlato. Ha fatto molto di più: raccontando il nuovo mondo, di cui lei, ora felicemente “delocalizzata” in Val Tidone, è diventata pienamente protagonista. L’universo degli odori e dei profumi, frequentato da tutti, ma da ben pochi conosciuti davvero. E lo ha fatto esplorando un altro linguaggio, dopo che quello verbale si è da anni abbassato di tono e qualità nell’epoca dei talk show, della disintermediazione mediatica e digitale, della sovrabbondanza informativa e delle fake news. Il linguaggio dell’olfatto, banalmente dato per scontato, ma potente veicolo di storie da raccontare.

Complice il trasferimerimento in Val Tidone insieme al marito, una giornalista che per anni si è occupata di libri ora coltiva erbe officinali e – ha detto – “vuole creare un’azienda di profumi”. Sa di lavanda, iris, elicriso – pianta dai fiori gialli e d’odore simile alla liquirizia, adatta anche a luoghi più caldi e secchi – la terra che si si respira attorno alla sua casa di collina. Ha voluto trattarla bene la Natura, almeno lì.

Tutti conosciamo almeno l’odore della lavanda e sappiamo che, in primo luogo gli animali, ma anche l’uomo, da sempre comunicano attraverso gli odori. Ancora prima di usare il linguaggio. Sensualità, spiritualità, repulsione, paura. Emozioni diverse e contrastanti che gli odori veicolano. Ma qual è la differenza tra odore e profumo? Di cosa è fatta la piccola boccetta di profumo che tutti comprano?

“Non è il semplice e frivolo oggetto che molti credono – ha spiegato Giovanna Zucconi-. Si tratta di una combinazione di alcool e altre sostanze che solo l’uomo può creare. Quindi il profumo è un prodotto culturale non molto diverso da un film, un racconto, una composizione musicale”. Sostanze naturali, chimiche e a volte animali si mescolano alchemicamente a comporre il profumo, dispegandosi nel tempo. E raccontano. “Come in una composizione musicale – continua la giornalista – le note di testa sono quelle che si avvertono per prime, ma durano per meno tempo, poi arrivano le note di mezzo e per ultime quelle di fondo, le più persistenti.

Un mondo si dischiude, raccontando materie prime impiegate, luoghi di provenienza, prodotti e lavorazione industriali- non necessariamente peggiori delle sostanze naturali nella cosmesi; l’importante è il loro corretto utilizzo- e sfruttamento della manodopera. Tutto racchiuso nella nostra piccola boccetta spray. Ci avevamo pensato?

Tra olio essenziale realizzato con lavanda tagliata messa a evaporare in pentola pressione, profumo vanigliato alla lavanda e afgnano nero al sapore di mare, lasciamo quindi ai lettori la lunga passeggiata letteraria, tutta olfattiva, con il libro di Giovanna Zucconi Per sempre grati a Caterina de’ Medici che della cosmesi era maestra, tanto da insegnare l’arte ai francesi nel Rinascimento. Consapevoli che anche un profumo è società, cultura. Che esistono linguaggi diversi, universi in minuscole pieghe. Ma saperli esplorare non è comune a tutti. E per questo ci sono ancora grandi giornalisti e scrittori.

“Le cose che bruciano” di Michele Serra – E non possiamo finire questa rassegna senza lo sguardo critico, la vena comica e l’eclettismo di Michele Serra, che lo rendono un brillante giornalista a partire dalle prime pagine satiriche degli anni Ottanta su Tango, l’inserto dell’Unità diretto da Sergio Staino, fino alle invettive odierne nella sua rubrica L’amaca su Repubblica e ai contributi di Satira preventiva sull’Espresso. E lo scrittore controcorrente degli “Sdraiati” o di “Ognuno potrebbe”. Tratti che ritroviamo, intatti e rinnovati, anche nel suo ultimo libro: “Le cose che bruciano” (Feltrinelli).

La fuga in montagna di un politico di successo, Attilio Campi. Il luogo, Roccapane, è immaginario, ma molto realistico: “Potrebbe essere Cerignale stesso, come qualunque altro posto simile”- spiega Serra. Un libro scritto in prima persona, “ma non si tratta di una biografia-  precisa l’autore -, seppure anch’io ho da poco scoperto la vita in mezzo alla natura”.

Attilio, a 48 anni, fugge dalla sua arronganza, dalla brama di voler avere ragione a tutti i costi, dall’invadenza della visibilità sociale. E il suo brutto carattere, le sue stravaganze sono dipinte anche in termini spassosamente comici. Il personaggio è però ossessivamente legato, vittima e schiavo, del peso dei ricordi passati, che lo inseguono anche a distanza, ma di cui farebbe volentieri a meno. Tanto da volersene drasticamente liberare, progettando di bruciare letteralmente tutti i ricordi di famiglia. Siano essi ad esempio il ciarpiame eterogeno di zia Vanda, le sedie chiavarine sfondate, le tovaglie ormai irrimediabilmente macchiate dal vino e dall’unto e soprattutto gli album di fotografie – “sbiadite e senza luce, certo, ma la carta, quanto pesa la carta!” – sono tutti ricordi “di famiglia”. “Formula che contiene alla massi potenza il micidiale ricatto della memoria, quello che per ononare il passato ostruisce il presente”.

Alla fine il protagonista brucerà l’unica cosa che non doveva: perchè “liberarsi da sè stessi è molto più difficile che fuggire dalla società – sottolinea Michele Serra. Eppure, nei rari momenti lontani dalla sua intesa intesa “architettura pirica”, Attilio Campi scopre tutta l’armonia e la gratificazione del lavoro materiale. Lui che invece aveva sempre lavorato astrattamente, con le parole. Riscopre “l’acqua come principio” e non come banale “conseguenza del rubinetto aperto” o anonima bolletta condominiale”. La bellezza “socialista” dell’innaffiare l’orto: dove la “cura del particolare dipende inestricabilmente dalla legge dell’insieme”.

Perchè – ricordano a tutti noi Attilio Campi e il suo creatore – “il motore del mondo è sempre quello: la relazione tra una manciata di elementi. E anche oggi che ci crediamo chissà che cosa per un paio di pixel, in fondo dipendiamo dal sole e dalla pioggia. E da nient’altro.

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