Gli italiani e il vino? “Oggi si beve meno rispetto al passato, ma dalle bollicine alla bolla il passo è breve”

Pensate che i giovani di oggi bevano di più e peggio rispetto alle generazioni passate? Beh, così non è. Nonostante wine bar e pub siano spesso pieni, i dati non mentono. Satistiche alla mano, in Italia siamo passati da un consumo annuale pro capite di vino di 100 litri cinquant’anni fa ai 35 litri odierni. È quindi indubbio che si beva meno, e pure meglio, poichè i controlli sono maggiori e più diffuse le conoscenze in materia. Tuttavia i rischi certo non mancano, perciò è bene non abbassare mai troppo la guardia.

A spiegare le delizie, ma anche le croci, del mondo vinicolo italiano – e non solo – è stato Tiziano Gaia, durante la presentazione del suo ultimo libro, “Stappato. Un astemio alla corte di re Carlo” Baldini + Castoldi) alla galleria Biffi Arte di Piacenza.

Per anni degustatore di professione a Slow Food e vice curatore della guida Vini d’Italia e ora responsabile – tra le tante attività – del WiMu (il Museo del Vino, a Barolo), lui di vino se ne intende. Eccome. Tanto da vincere con il suo “Stappato” il premio Augusto Monti: un riconoscimemto importante, se Monti è stato docente di Cesare Pavese.

In colloquio con Mauro Molinaroli, nell’ambito della rassegna “L’arte di scrivere”, Gaia ha quindi presentato il suo libro unendo alla freschezza giovanile dei modi e dell’aspetto la competenza puntale dell’esperto. Il tutto “in un racconto che intreccia – ha sottolineato lo stesso Molinaroli – vissuto personale, profondi mutamenti sociali e analisi dinamica del mondo del vino”.

Sembra un romanzo l’arrivo di Tiziano Gaia a Slow Food nel 2000, astemio, timido e poco più che ventenne. Catapultato all’improvviso in un girone infernale di assaggi, degustazioni, osterie, fino a diventare degustatore professionista e poi curatore di Vini d’Italia. “Nessun patentino da esibire – precisa l’autore -, la mia scuola sono stati 100-120 assaggi di vino al giorno. Per me che non ero abituato significava tornare a casa la sera distrutto. Tutte le aziende facevano carte false per ottenere l’importantissimo premio dei “Tre Bicchieri”, assegnato da me e colleghi ai vini migliori. Un riconoscimento del valore di circa 50 milioni di lire, rispetto a cui il conseguente aumento dei prezzi di quel vino era sempre dietro l’angolo”.

“Lo spartiaque per la nascita e la crescita della guida”Vini d’Italia” è stato però il 1986, anno zero della viticoltura italiana per lo scandalo del metanolo – racconta Gaia -. Dopo i tanti danni sulla salute, si decide di puntare sulla qualità assaluta in ambito enogastronomico. E Vini d’Italia nasce proprio con l’obiettivo di promuovere consapevolezza nei consumatori”.

“Ma essere a Slow Food significa lavorare a stretto contatto con il suo leader. Che rapporto avevi con lui?” – chiede Molinaroli. “Carlo è sempre stato un grande visionario e lo rimane, solo parlargli era lezione di vita – riprende Gaia-“. Con lui si era in famiglia e, insieme, nel mondo. Petrini ha rivoluzionato il settore gastro-alimentare italiano e non solo, riportando il più possibile la figura del contadino al centro del dibattito politico. E ridando dignità al lavoro agricolo”.

Oggi dunque si mangia e si beve meglio. C’è anche tanta “robaccia” alcolica a bassa gradazione mischiata insieme, ma sicuramente la consapevolezza è molto maggiore. Allora quali i rischi? “In una frase potremmo dire le follie del mercato”- ha acutamente fatto notare l’autore di “Stappato” -. Sono queste a poter facilmente trasformare le bollicine in fastidiose bolle. Pochi grandi marchi a prezzi esorbitanti sono diventate oggi griffe del vino. Oppure, al contrario, migliaia di ettari di terreno vengono impiegati per milardi di bottiglie, vendute a prezzi stracciati. È il caso del Prosecco, ormai prodotto inopinatamente ovunque. Ma poi le mode passano. E intanto il contatto autentico con la terra si allenta”.

Quindi che fare? “Valorizzare di più mercato e patrimonio interni – conclude Tiziano Gaia -. Il vino è simile ad un’opera d’arte, o dovrebbe esserlo. Possiede un’essenza alchemica che gli dona unicità. Nessuno mi convincerà mai che un vino italiano esportato a Pechino abbia lo stesso identico sapore. Il vino che beviamo rimane fortemente legato al territorio di produzione. Esportiamo, ma senza perdere di vista ciò che abbiamo noi”.

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