Edgarda Ferri e la sua “ballata al femminile”: “Il mio libro? Una sfida appassionata”

Ora cronaca, ora monologo, ora dialogo. “La mia ballata delle donne imperfette è una sfida appassionata – ha detto Edgarda Ferri, giornalista e scrittrice di lungo corso, ospite alla Galleria Biffi Arte di Piacenza lo scorso 27 novembre nell’ambito della rassegna d’autore “L’arte di scrivere” -. “Un’elettrocardiogramma impazzito per raccontare, con storie diverse, la violenza subìta in ogni epoca da donne imperfette”. Un universo dipinto con tutta la pietas del dramma, ma smorzato dalla leggerezza del divertimento.

“Diverse forme di violenza trovano spazio, non certo solo quella fisica”- ha quindi sottolineato la giornalista -, ma anche comportamentale, metaforica. Ci sono donne come Antigone, Artemesia Gentileschi, Santa Caterina, assolutamente perfette fiscamente che però si sono permesse comportamenti fuori dalla norma. E per questo hanno pagato: con umilizioni, emarginazione sociale, disprezzo”.

Ma come nasce l’idea di questo libro? – ha chiesto il giornalista Mauro Molinaroli, curatore della rassegna autoriale, che ha intervistato la scrittrice. “Mi aveva colpito moltissimo un referto medico redatto nel 1802 dall’Accademia scientitifica di Mantova – riprende Edgarda Ferri-. Scritto da otto medici andati in una casupola della campagna mantovana per studiare una “rara mostruosità”. L’abitazione è quella di Giacoma Foroni e di sua madre. La ragazza aveva evidentemente alcune anomalie genitali, probabilmente denunciate da qualcuno. Il dramma è la terribile violenza subìta dalla ragazza da parte dei medici nell’intimità più segreta: sezionata, misurata prima in tutte le parti esterne del corpo, a nulla sono valsi i suoi ripetuti tentativi di difesa, il suo dirsi ‘ragazza normale’, così dicono le carte; poi disegnata anatomicamente dal famoso pittore Felice Campi, divaricata su un tavolo e ‘frugata’ tutta internamente.” “Da questa storia, che non ha finito ancora di lasciarmi il segno, nasce e inizia il mio libro – continua la giornalista -,l’idea di mettere insieme tante storie di donne imperfette; violate, ripudiate per la loro diversità”.

“Nonostante questo testo attraversi varie epoche, appare di estrema attualità, intrinseca ed estrinca- ha fatto notare Molinaroli -. Cambiano i tempi, ma non i comportamenti. Lo stesso processo vissuto da Artemisia Gentileschi, ricorda molto quelli di oggi”. “Sì, la violenza subita da Artemisia Gentileschi può ricordare il modo in cui oggi vengono trattati molti casi di stupro – ha spiegato Ferri -, quasi che la colpa, almeno sociale, della vittima fosse maggiore di quella del carnefice. L’ingegnosa pittrice cinquecentesca denuncerà coraggiosamente il collega Agostino Tassi che l’aveva violentata, mancando alla promessa di matrimonio. Durante il processo, la donna, attraverso gli interrogatori, passa continuamente dal ruolo di vittima a quello di accusatrice bugiarda. Nostantante la condanna finale dello stupratore, che non pagherà pena per le sue influenti amicizie, Artemisia Gentileschi dovrà convivere con il marchio di poco di buono fino alla morte”.

Troppo spesso, ora, cambia poco. Pensiamo solo alle due ragazze americane, recentemente violentate dai carabinieri a Firenze. Certo, un atto ignobile. Ma loro erano ubriache. Provocavano, loro. E poi c’è il grande tema della ricerca identitaria, non sempre definibile, che attraversa il libro: dalle Metamorsi di Ovidio; con Ifi, bambina fatta crescere come maschio per benificio sociale, poi trasformata in vero uomo alla vigilia delle nozze per poter sposare la sua amata; fino ai giorni nostri, con Thomas Neuwirth, diventato famoso nella musica come Conchita Wurst. Scanzonato, omosessuale, vestito da donna, ma con una lunghissima barba. Fuori dagli schemi, irriverente, ma mai operato per cambiare sesso. Celebre in tutto il mondo, ma chiacchieratissimo ed emarginato nella piccola, provinciale città natale austriaca di Gmunden. Solo due esempi, tra tanti altri.

La storia de “L’origine del mondo” di Courbet e di Constance Quéniaux, ballerina al Teatro dell’Opera di Parigi che si offre come modella all’ artista, chiude significativamente il libro. Con un atto di coraggio e dignità, simbolo della forza della donna. Ritratta per sempre in un quadro e in una posa, che non ha ancora smesso di destare scandalo. Che questa storia sia in chiusura o all’inizio del testo, poco importa, in fondo. Qui è “l’origine”: dove tutto inizia e tutto ritorna.

“Manca qualcuna tra le donne contemporanee? Chi aggiungeresti?”- ha chiesto alla fine Molinaroli. “Ci ho pensato – ammette Edgarda Ferri. “La ‘bionica’ Bebe Vio? Le ‘moderne Antigone’ Carola Rackete e Ilaria Cucchi? Sono ancora troppo vicine. I sentimenti e l’attualità hanno bisogno di essere sedimentate per venire raccontate obiettivamente”.

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