“Nella pietra e nel sangue”, la recensione del nuovo libro di Gabriele Dadati

“Perchè mi scerpi? Non hai tu spirto di pietade alcuno? Uomini fummo, e or siam fatti sterpi. Ben dovrebb’esser la tua man più pia, se state fossimo anime di serpi”. Dante, XIII Canto dell’Inferno.

Chi, almeno sui banchi di scuola, non ha incontrato questi versi? Attorno a loro e alla misteriosa morte dell’uomo a cui sono dedicati, Pier delle Vigne, ruota l’ultimo romanzo storico dello scrittore piacentino Gabriele Dadati: “Nella pietra e nel sangue”, recentemente edito per Baldini e Castoldi, presentato dall’autore alla Galleria Biffi Arte di Piacenza con il medievalista Gianluca Fiorentini, cui il libro è dedicato.

Che Pier delle Vigne – in realtà Pietro scopriremo durante la narrazione – si suicidi è un fatto storico, e per questo Dante lo colloca all’Inferno, tra i violenti contro se stessi: trasformato in albero, lui che avendo rinnegato in vita il proprio corpo non ha il diritto di possederne uno oltre la morte. Ma perché Pier delle Vigne si toglie la vita, se fino a poche settimane prima era l’uomo più potente e stimato della corte di Federico II? Come e perché tradisce il suo imperatore da sempre profondamente amato? Un sovrano che, dopo l’amara scoperta del tradimento, sembra abbia comunque lasciato libero il colpevole? Da che cosa fugge esattamente Pietro? Un mistero che neppure Dante aveva saputo risolvere.

Ci prova allora Gabriele Dadati, indagando tra le pieghe del rapporto sfaccettato e complesso dell”imperatore Federico II e del suo luogotenente; a partire dai variegati commenti del XIII canto dell’Inferno. Dopo la confessione storica e potentemente umana de “L’ultima notte di Antonio Canova” (Baldini e Castoldi 2018), con “Nella pietra e nel sangue” Dadati va oltre il romanzo storico: si avvicina a passi lenti, misteriosi, ai suoi protagonisti, Federico II e Pier delle Vigne, presentati al lettore inizialmente avulsi dal contesto storico cui appartengono; solo attraverso la potenza espressiva e straniante delle immagini che trascinano, ma disorientano. E svelati poi progressivamente, ma mai del tutto, neppure alla fine.

In questo processo di graduale disvelamento il passato si alterna costantemente al presente e l’uno trae valore dall’altro: agli anni d’oro dell’impero di Federico II e della poesia volgare nella prima metà del 1200, si accostano le vicende presenti di Dario Arata, giovane dantista che della morte di Pier Delle Vigne si sta occupando per una relazione di dottorato. Insieme alla sua bella storia d’amore con Lucia. Due ragazzi comuni, culturalmente impegnati, animati di entusiasmo giovanile, ma capaci di condividere valori e sentimenti oggi non scontati. I due piani temporali convivono armonicamente, senza mai annullarsi a vicenda: le ombre del passato si allungano sul presente di oggi, ma le sue bellezze lo illuminano rendendolo eterno. Fino ad intrecciarsi nel finale, in bilico, come e più di tutto il romanzo, tra verità storica e finzione letteraria, realtà e sogno.

Alla scrittura medievale della Storia, cruda nell’immagine e supportata dall’attenta ricerca delle fonti trecentesche, il presente interseca la freschezza leggera dell’ironia giovanile. Unite per avvincere chi legge. Una storia di sopraffazione e bellezza, di ambiguità e di semplicità. Da gustare.

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