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Qualcosa si muove sul fronte della cittadinanza?

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La cittadinanza è l’elemento essenziale perché le persone possano godere di tutti i diritti fondamentali. Così la deputata Laura Boldrini nella presentazione di un progetto di legge a beneficio degli immigrati che hanno intenzione di stabilirsi nel nostro Paese.

Il dibattito su questo tema viene da lontano ed il tentativo di riconoscere uno spazio giuridico ai nuovi cittadini è stato oggetto di tante proposte, a cominciare dall’iniziativa popolare (2012), fino all’approvazione di un provvedimento, avvenuta alla Camera nel 2015, ma che per motivi di tattica politica non è mai stato discusso al Senato. Si tratta di un fenomeno carsico, che affiora quando se ne sente la necessità, cioè quella di non tenere persone e famiglie sulla corda della clandestinità nonostante siano massicciamente impiegate nello studio e nel lavoro, aiutando l’economia e il fisco di questa disastrata Italia, e si inabissa nel momento in cui tra i politici si teme un calo di consensi sull’onda di una supposta invasione che attraverso i media minaccia di destabilizzare la società.

Acquistare la cittadinanza italiana è già possibile (L. 91/1992), da genitori che ne sono in possesso, oppure per giovani abbandonati sul nostro territorio, al compimento della maggiore età, oltre che per maggiorenni adottati da nostri connazionali residenti da almeno cinque anni. Per tutti valga la presenza nel nostro Paese da almeno dieci anni. Dovranno prestare un giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato. Sarà necessario accertare il grado di conoscenza della lingua italiana e tutte le situazioni utili per valutare l’avvenuta integrazione. Verrà inoltre concessa in casi eccezionali, per merito, a quegli stranieri che abbiano reso notevoli servigi all’Italia.

Pur in una situazione complessa la determinazione a diventare cittadini italiani non viene meno, soprattutto per i giovani; l’ISTAT ha rilevato che dal 2011 al 2014 c’è stato un aumento del 143% di nuovi cittadini. Fino al 2008 ciò avveniva soprattutto per matrimonio, mentre adesso prevale la residenza, in particolare per gli immigrati di seconda generazione, cioè quelli nati in Italia, al compimento del diciottesimo anno di età. In molti casi il passaggio avviene senza che abbiano avuto esperienza migratoria.

Le più recenti proposte introducono una nuova fattispecie, denominata “ius culturae”, che si riferisce a chi è nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età ed abbia frequentato regolarmente un percorso formativo per almeno cinque anni in un istituto appartenente al sistema nazionale di istruzione o di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale. La richiesta dovrà essere fatta da chi esercita la responsabilità genitoriale se il figlio è convivente.

I comuni in collaborazione con gli istituti scolastici dovranno promuovere per tutti i minori iniziative di conoscenza dei diritti e doveri legati alla cittadinanza, al fine di favorire l’acquisizione di consapevolezza soprattutto da parte dei nuovi cittadini. Allo Stato il compito, dice la proposta Boldrini, di garantire l’offerta formativa per la conoscenza della lingua italiana e della Costituzione, che abolisce anche il requisito della convivenza dei giovani con i genitori.

Di tutt’altro orientamento politico, ma convergente sullo ius culturae, anche se con motivazioni diverse, è il progetto di legge della deputata Renata Polverini, che prefigura il diritto di cittadinanza da parte degli stranieri nati in Italia, in quanto, si legge nel testo, non si vuole incorrere negli inconvenienti che deriverebbero dall’attribuire ad un minore una cittadinanza diversa da quella dei genitori in un’età in cui non possiedono ancora autonomia e capacità di autodeterminazione. Nella XVII legislatura, prosegue Polverini, ci sono state concrete possibilità di dialogo e la volontà di trovare un punto di incontro tra diverse impostazioni politiche. Riforme come quella della cittadinanza è auspicabile vengano approvate da una più ampia maggioranza possibile, essendo regole che riguardano la convivenza sociale e civile.

Le seconde generazioni, dei nati in Italia, sono parte integrante della nostra società e spesso non hanno alcun legame culturale o addirittura linguistico con il paese di origine dei genitori. Polverini è convinta che una vera integrazione sia determinata dalla condivisione da parte dello straniero di un progetto culturale e sociale e quindi non può essere solo legato alla residenza, bensì al compimento di un percorso scolastico almeno di scuola primaria.

Il quadro politico si va allargando e il fatto che oggi forze di maggioranza e opposizione abbiano iniziato un cammino nella Commissione Affari Costituzionali della Camera fa ben sperare. Ma l’elemento decisivo per andare oltre al temuto giudizio popolare deriva da un recente sondaggio illustrato da Ilvo Diamanti su Repubblica. I favorevoli allo ius culturae sono al 67%, non solo dei tradizionali partiti di sinistra ma anche dai 5S (71%), FI (81%) e perfino il 46% della Lega. Di questo 67 il 71% ha tra i 18 e i 29 anni, ma ci sono anche gli ultra sessantacinquenni a 71%, provenienti un po’ da tutte le aree del Paese.

Integrare la cittadinanza attraverso l’educazione e la cultura è arricchire decisamente il nostro territorio, tenendo conto che molti giovani vanno all’estero e la popolazione autoctona è sempre più vecchia. Senza i figli degli immigrati, soprattutto al nord, anche il nostro sistema scolastico è a rischio per effetto del declino demografico. Ci sarebbero dunque le premesse per approvare la riforma senza nascondersi ulteriormente; se non lo vogliamo fare per bontà dobbiamo farlo per interesse, altrimenti lo ius soli sarà tradotto con il diritto di rimanere da soli.

di Gian Carlo Sacchi

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