“Dietro le mascherine le lacrime, ma i volti di chi ci ha lasciato continueranno a vivere” foto

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una dipendente della fondazione “Madonna della Bomba Scalabrini”: una testimonianza che racconta in prima persona, con parole ed immagini, come all’interno della struttura sul Pubblico Passeggio si stanno vivendo i giorni dell’epidemia. Una testimonianza che arriva dopo la denuncia dei sindacati di Piacenza, in merito alla situazione di criticità in cui versano le case di riposo e strutture protette, Madonna della Bomba inclusa

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“Salve,
sono una dipendente della Fondazione Madonna della Bomba Scalabrini, residenza per anziani, nota realtà di questa città che si è sempre contraddistinta per l’attenzione posta agli utenti più deboli. Dopo aver letto articoli e commenti, vorrei condurvi all’interno, farvi vedere attraverso i miei occhi, coperti da mascherine e occhiali, quello che si sta vivendo, farvi entrare dentro quel cancello in ferro che delimita l’alberato e silenzioso Viale Pubblico Passeggio.

Madonna della bomba coronavirus

Tutti i cittadini conoscono questa realtà ma chi è stato qui, come ospite, lavoratore, familiare, volontario sa che qui si ha la piena dedizione per i nomi, i volti, per le storie, per i vissuti di questi ospiti a cui siamo profondamente legati. Lunghi corridoi, poltrone arancioni, vasi di ceramica sui tavoli in legno, vecchie “Olivetti” che incuriosiscono i visitatori, divanetti e tv. Una piccola città all’interno della città in cui gli anziani si muovevano liberamente per andare a fare colazione, per raggiungere il centro di socializzazione e leggere il giornale, per essere accompagnati dalla parrucchiera, accogliere visite di amici e parenti e dialogare con l’intero personale.

Ogni giorno da quando lavoro in struttura ho visto l’intera equipe approcciarsi con meticolosa cura e attenzione per promuovere il benessere degli ospiti e per migliorare sempre più l’assistenza a livelli differenti. Oggi tutto, in questo piccolo universo, subisce un mutamento come nel resto del mondo. E’ un momento storico così crudele, così critico e nessuno rimane escluso purtroppo. Da quando l’Emilia Romagna ha registrato i primi casi e sono state poste delle limitazioni, quando anche noi abbiamo registrato un caso, la direzione si è prodigata per ottenere i dispositivi di protezione individuale, ha organizzato un corso con un esperto virologo al fine di fornire tutte le informazioni necessarie per lavorare in modo sicuro, ha limitato e poi vietato l’ingresso ai familiari, con immenso dispiacere.

Gli ospiti si sono ritrovati a rimanere in camera, in spazi limitati così come il resto della popolazione rimane nelle proprie abitazioni. Ma più viviamo questa vicenda tremenda, la cui fine non conosciamo, più siamo consapevoli che questo virus è un nemico infido e sconosciuto, le cui caratteristiche sono a volte difficili da prevedere. La paura è un sentimento che ci accomuna, che mettiamo a tacere mentre con una marcia svelta e frenetica raggiungiamo le stanze, rispondiamo al telefono, prendiamo il materiale necessario e tanto altro ancora. E vi assicuro che non è semplice neanche per noi salutare delle persone che nel tempo sono divenute care, con cui abbiamo lavorato ogni giorno, ognuno con la sua competenza e nel suo campo, infermieristico, sociale, psicologico, sanitario, assistenziale, non è semplice doverli salutare in modo brusco, rapido, crudele.

Madonna della bomba coronavirus

Non pensavamo di condividere tutte queste lacrime con i familiari che sono stati sempre presenti in struttura, che abbiamo imparato a conoscere giorno per giorno. Non è facile per noi, non è facile per chi dirige la struttura da tempo e oggi si ritrova a dover far fronte a un’emergenza con la speranza di tutelare gli operatori e gli ospiti. Il direttore, Paolo Cavallo, il presidente Don Andrea Campisi, sono presenti ogni giorno, ogni mattina arrivano in struttura per chiedere come stiamo, per arginare il dolore, scalfire il muro del timore con una leggera battuta, sono lì ogni giorno per cercare una soluzione, per accogliere i pensieri e trasformarli in entusiasmo che tiene in piedi, uniti.

La coordinatrice, Marisa Civardi, da casa cerca di tenere aggiornati costantemente i familiari. Il direttore sanitario, Alfredo Signaroldi, la dottoressa di struttura, Carolina Prati, sempre pronti a chiarire un dubbio, a mantenere un tono pacato nonostante le loro penne abbiano appena smesso di scrivere un certificato di morte.
I responsabili di struttura hanno sempre cercato di far crescere questo luogo, puntando sulla formazione degli operatori, rafforzando la collaborazione. E mai come oggi penso possano essere fieri di quello che avviene, di come l’operato di tutti si sia modellato sulla profondità dei loro valori.

E’ straordinario il lavoro svolto continuamente da ogni operatore, dall’interno e da casa, personale amministrativo, oss, cuoco, aiuto cuoco, personale ausiliario, animatori, infermieri, raa, ras, responsabile dei servizi, psicologi e fisioterapisti. Ogni giorno, ognuno di loro, trattiene la paura per percorrere quei lunghi corridoi, entrare nelle stanze con un sorriso, svolgere il proprio lavoro, rimanendo anche qualche ora in più. Si fermano sulle scale talvolta, li vedo pensierosi, li vedo piangere un istante per smaltire il forte fardello, il dispiacere di ritrovare qualche stanza o qualche sedia vuota eppure sono lì, siamo lì, sperando e pregando ogni giorno di non essere colpiti da questo nemico crudele.

Ci basta incontrare il nostro sguardo per un secondo per capire che siamo profondamente preoccupati per la collega che non sta bene e che il domani non sarà mai più come prima. Eppure siamo qui e ci fermiamo ad osservare la bacheca, dove una volta vi erano affissi turni precisi e ordinati e adesso vi sono una serie infinita di biglietti di familiari che ringraziano, che infondono coraggio, che ci inviano abbracci colmi di affetto. Sulla mensola all’ingresso, dove riponevamo i giornali, adesso ci sono caramelle, torte, fiori che vengono offerti per rendere meno aspro questo frangente di tempo che speriamo finisca in fretta.

Madonna della bomba coronavirus

E in queste tenere parole, in questi piccoli grandi gesti troviamo il senso del nostro operare, troviamo la forza per continuare. Perché, posso ripetere, che non è semplice, che i dispositivi continuano a essere la fonte di sicurezza che cerchiamo e a cui ci affidiamo ma non placano totalmente la paura, che dietro quel numero di decessi ci sono storie differenti, fotogrammi di emozioni che si sono cucite nelle menti di tutti, dai membri della direzione a ogni operatore.

Il telefono squilla senza alcuna sosta, senza interruzione e il direttore è sempre disponibile per parlare con i familiari, abbandonando per un istante la preoccupazione per la sua famiglia e le infinite azioni da svolgere per cercare di ottenere i migliori presidi, i migliori aiuti. Ogni operatore, nonostante i dolori, ha coperto il proprio turno e quello di molti altri colleghi “caduti” prima di loro per l’eccessiva fatica di mantenere una struttura efficiente ma in linea con le misure di precauzione, per assicurare la piena salute di novanta nomi, novanta volti, novanta storie che conosciamo, custodiamo, alla quale ci appoggiamo per avvicinarci al loro cuore, alla loro speranza, che non dimentichiamo.

Madonna della bomba coronavirus

E anche se ci stiamo quasi abituando a vedere in tv immagini di personale in divisa, con mascherine e guanti, con cuffie e occhiali, vi prego di ricordare che nel silenzio ogni giorno, senza remore, stiamo accanto agli anziani presenti facendo una videochiamata ai propri cari, donando delle riviste, avendo cura della loro salute, facendo la barba, cambiando le lenzuola, offrendo un po’ di compagnia, preparando una torta, correndo in farmacia, offrendo un bicchiere di thè, facendo giungere qualche parola di conforto che rimbomba oltre il filtro delle mascherine.

Ci vorrebbero forse delle immagini per poter descrivere al meglio quello che avviene fra i corridoi della Fondazione Madonna della Bomba. Ci vorrebbero delle immagini per far comprendere davvero come ogni giorno, ogni dipendente porta, dietro le mascherine, i segni del timore, delle lacrime, della stanchezza, dei pensieri per i propri cari ma continua a correre fra gli spazi di un luogo che vuole tornare alla bellezza di momenti semplici, di feste, di sale da mensa affollate, di attività divertenti, di laboratori di lettura e di banali routine. E qui continueranno a vivere i nomi, i volti, le storie di chi è stato vittima di un’emergenza mondiale, di una pandemia che lacera ogni Paese, che intreccia le vite di tutti in un sentimento di speranza.

Mi scuso se non sono riuscita al meglio a dare onore a ogni operatore, al lavoro che sta svolgendo, ai sacrifici che sta compiendo. Ognuno, dai membri della direzione a tutto il personale, meriterebbe ampio spazio e numerosi elogi. Ognuno, fuori e dentro questa struttura, meriterebbe la fine di questo brutto capitolo della nostra storia”.

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