Amarcord del teatro Municipale: il Rigoletto tra Pavarotti e MacNeil

Il Rigoletto di Giuseppe Verdi è, probabilmente, l’opera più conosciuta e rappresentata nella storia della lirica mondiale.

La tragica vicenda del “gobbo” verdiano coinvolge sempre lo spettatore e le sue arie e le sue romanze sono talmente tante e di una bellezza trascinante tale da rapire l’ascoltatore, a cui non è concesso mai una pausa e che viene coinvolto in un vortice di emozioni che toccano gli animi anche più refrattari. Non c’è baritono, nella storia, che non si sia cimentato in quel ruolo. Il fantastico Leo Nucci, ad esempio, ha raggiunto lo straordinario numero di oltre 600 rappresentazioni.

Anche nei programmi delle stagioni della storia del Teatro Municipale il Rigoletto lo ritroviamo spesso, talvolta in edizioni straordinarie ed altre volte un po’ meno. Questa alternanza di successi ha avuto il suo paradigma oltre mezzo secolo fa quando, nel lontano febbraio del ’63, debuttò a Piacenza nelle vesti del Duca di Mantova il grande Luciano Pavarotti.

Luciano Pavarotti

A quel tempo, come studente universitario ed appassionato di lirica, ero riuscito ad entrare nel gruppo dei “figuranti”, chiamate allora più semplicemente comparse, in gran bella compagnia nella quale comandavano gli anziani carismatici come Gianni Francesconi, il Nino Rusconi ed il Giulio di Santa Agnese ed un altro gruppetto di studenti tra cui ricordo gli avvocati Giorgio Cavazzuti, Sandro Miglioli, Mario Destri, il dr. Lanfranchi ed altri. In quel modo raggiungevamo due scopi: essere presenti tutte le sere in teatro dalle prime prove e racimolare qualche soldino (140 lire a sera) molto prezioso per uno studente.

Ritornando alla sera della “prima”, a teatro si respirava un’atmosfera pesante già emersa ed evidente nella prova generale quando il tanto atteso ed amato baritono cremonese Aldo Protti, che tre anni prima con Gianni Poggi aveva dato vita un Rigoletto memorabile, aveva dato forfait ufficialmente per malattia, anche se qualcuno diceva per disaccordi economici. Al suo posto era stato chiamato il baritono Giulio Fioravanti, un cantante che aveva già fatto diverse apparizioni al Municipale senza infamia e senza lode, anche se in parti molto meno impegnative. Gilda era interpretata da Margherita Guglielmi, brava e dalla voce pulita dai facili acuti, mentre il buon Leonida Bergamonti faceva Sparafucile fratello della “Maddalena”.

E Pavarotti? Il tenore modenese aveva allora 27 anni ed era alle prime armi, ma si era già guadagnato una pregevole nomea per la potenza e la bellezza della voce e per la facilità di canto che soleva impreziosire con delle finezze stilistiche. Nelle prime serate di prove Pavarotti, alto, bello, elegante, era anche molto simpatico; con lui facevamo discussioni calcistiche sul Modena e sul Piacenza e sui vini con la rivalità tra lambrusco e barbera. Con l’avvicinarsi della prima anche il suo umore era cambiato ed un certo nervosismo si era impossessato di lui tanto da apparire a volte perfino scontroso.

Quando si alzò il sipario e il maestro Canfora iniziò la musica si percepiva, dal loggione, un certo bisbiglio. Il primo atto Pavarotti lo fece discretamente bene: grandi mezzi vocali non sorretti, però, da autentica partecipazione. Il baritono Fioravanti, invece, denunciò i propri limiti e dal pubblico si levarono i primi dissensi che, alla fine del primo atto, erano solo zittii mentre al termine del secondo si sentì anche qualche fischio. A questo punto Pavarotti perse la pazienza. L’abbiamo visto rifilare un pugno su di un tavolino dietro le scene e guadagnare in fretta il camerino pronunciando parole che non intercettammo. Dietro le quinte si era sparsa la voce che Pavarotti non volesse più tornare in scena.

Subito nei camerini un viavai di persone. Noi lasciammo le quinte e ci ritirammo nel nostro locale nello scantinato in attesa di vedere cosa sarebbe successo. L’intervallo fu più lungo del solito, ma l’opera ripresa e venne portata a termine tra molti mugugni e pochi applausi: un autentico fiasco. Non abbiamo potuto, quella sera, salutare Pavarotti, come eravamo soliti fare: c’era troppo nervosismo  nell’aria e sembra che fu proprio in quella circostanza che il celebre cantante profetizzò: “Mai più canterò in questo teatro”.

MacNeil

Tre anni dopo la Commissione Teatrale rimise in cartellone “Rigoletto”.  Esattamente il 2 gennaio 1966: Ad interpretare il ruolo baritonale arrivò Cornell MacNeil, un americano del Minnesota nel fior degli anni (45) preceduto da chiara fama internazionale, ma non ancora molto conosciuto in Italia. Mac Neil era artista di eccezionale cultura, che andava dalla musica alla poesia, dalla pittura alla storia. Non parlava molto bene la lingua italiana, ma capiva tutto e si faceva capire a sufficienza. Sempre gentile e disponibile manteneva, però, un certo distacco; amava isolarsi nel camerino per parecchio tempo. Riscuoteva molta simpatia tra gli operatori scenici e coristi perché era solito lasciare a loro abbondanti mance a fine spettacolo. Al termine delle prove mi ero offerto di accompagnarlo all’Albergo Roma, dove alloggiava, scegliendo sempre itinerari diversi perché voleva conoscere a fondo la città: quando un anno più tardi ritornò per cantare l’Ernani si fece accompagnare dal figlio di 12-13 anni, al quale, tornando in albergo, raccontava a storia della città e lo stile architettonico dei suoi monumenti. MacNeil era, però, un grande cantante, tra i più bravi e più celebri della storia della lirica mondiale.

Già nelle prove tutti gli addetti ai lavori erano rimasti colpiti dall’eccezionalità del cantante ed ognuno di noi si era impegnato ad avvisare gli amici che sarebbero venuti a teatro di lasciare finire il baritono nella celebre romanza del “Vendetta”, perché il suo crescendo con acuto nel finale dell’atto era di bellezza e potenza tale da trascinare ad un entusiasmo irrefrenabile che scoppiava nell’applauso quasi delirante. Non ci fu verso: sia nella prima che nella replica il boato degli applausi arrivò, senza interrompere, sull’acuto finale che il maestro Patanè sapeva accompagnare magistralmente con l’orchestra portando il pubblico all’esaltazione: fu un autentico trionfo. L’eminente critico professor Francesco Bussi definì “superbo” quel Rigoletto e di MacNeil scrisse: “Non solo ottima, ma addirittura straordinaria, è parsa la prova di Cornell MacNeil dalla notevole imponenza di mezzi canori e dalla autorevole anche impressionante presenza scenica”.

Protagonisti di quella sera furono il giovane tenore Romano Emili, squillante ed armonioso Duca di Mantova, ancora la soprano Margherita Guglielmi, soave e coinvolgente Gilda, Salvatore Catania, discreto Sparafucile e positiva la Maddalena di Amanda Bonato. Anche la replica riscosse un altro trionfo e, a conferma della fortuna di quella edizione, venne la terza rappresentazione con il baritono piacentino Carlo Torregiani. Anche questa volta fu un successo. Torregiani cantò così bene come mai, probabilmente, gli era capitato in carriera e riscosse prolungati e calorosissimi applausi. “In tutte le prove e nelle recite – mi confidò in seguito – non mi sono perso neppure una nota cantata da Mac Neil. Sentire dal vivo questi cantanti insegna davvero tanto!”.

Cornell Mac Neil tornò l’anno seguente al Municipale interpretando l’Ernani: fu un altro trionfo.

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