Le Rubriche di PiacenzaSera - Universi

“Che il sereno torni presto anche in terra” Universi e l’epidemia

La redazione di Universi non si ferma per l’emergenza coronavirus. Le riunioni si tengono a distanza con cadenza periodica, scambiandosi contenuti per via telematica. Durante uno degli ultimi confronti è emersa la richiesta di affrontare il tema del Covid19. Anche i redattori di Universi parlano di come è cambiata la loro vita con le restrizioni obbligatorie imposte dall’epidemia. Nei racconti di Chiara, Hassan, Roberta, Alex e Micaela non solo le esperienze personali, ma anche le riflessioni indotte da alcune testimonianze dalla prima linea dell’assistenza ai malati. Eccoli.

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Dio non ci lascia soli neanche quando viviamo una situazione tragica che ci sembra impossibile affrontare.

Ho letto un’intervista pubblicata sulla “Stampa” a don Giovanni Musazzi, cappellano dell’ospedale Sacco di Milano, dove sono ricoverati i pazienti con coronavirus.
Mi ha subito colpito una frase pronunciata dal sacerdote rispondendo alla domanda che molte persone si pongono, cioè se questa terribile epidemia sia un segno del fatto che Dio non esiste. Davanti a questo dubbio, generato spesso dalla paura e dal dolore, lui ha trovato le parole giuste per consolare e per dare un po’ di pace dicendo: “Sono un ospite che testimonia con la sua presenza che Dio c’ è.”
Don Giovanni vuol far comprendere a chi non crede e anche a chi si dichiara credente che Dio non vuole punirci per le nostre colpe, ma farci sentire la sua presenza e la sua tenerezza. Egli è semplicemente lo strumento umano di cui il Signore si serve per non farci sentire soli e abbandonati. Il suo compito è fondamentale: visita i malati gravi, che sono in isolamento e non possono vedere nessun familiare e li conforta anche semplicemente scambiando qualche frase con loro. Dice infatti don Giovanni che aspetta anche 40 minuti per chiedere ai pazienti se hanno dormito un po’ la notte precedente o si limita a salutarli attraverso il vetro. Il sacerdote è sempre accolto con gioia mista a commozione e si sente utile a chi sta soffrendo e a volte morendo senza il conforto di una persona cara.
Questa testimonianza diretta della tragedia immensa che stiamo vivendo mi ha prima sconvolto e poi mi ha trasmesso un senso di conforto perché persone come don Giovanni e come i medici e gli infermieri dell’ospedale Sacco e di tutti gli altri ospedali italiani sono la dimostrazione della capacità dell’uomo di non arrendersi davanti al male e all’impotenza, ma di reagire con forza e con generosità, pur nella piena consapevolezza che il male sembra invincibile.
Non voglio essere retorica, ma apprezzo molto di più le storie di chi vive in prima persona l’emergenza del covid-19, rischiando la vita e mettendosi in gioco, delle dichiarazioni sul web di persone famose e non, invitate a parlare di concetti come resilienza, paura e speranza, che dicono le solite frasi stereotipate e scontate senza comunicare emozioni e sentimenti.
Vorrei citare infine una frase di don Musazzi che apre uno spiraglio di luce nella nostra oscurità: “Si lavora al 150%. Assisto ad una testimonianza di bene contagiante.”

Chiara Ruggeri

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Il coronavirus ha avuto origine nel città di Wuhan in Cina al termine dell’anno 2019. Il 21 febbraio si sono originati due focolai nel basso Lodigiano e in provincia di Padova, dove si è registrato il primo decesso; all’inizio di marzo la situazione è peggiorata in particolare nelle regioni Lombardia e Veneto, dove sono aumentati i contagi e i morti allora il governo ha deciso in mettere tutta la penisola in zona rossa. Questa epidemia ha messo sotto grande pressione il Sistema Sanitario Nazionale italiano, con turni massacranti per medici, paramedici in mezzo ai rumori dei macchinari di ossigeno che tengono in vita i loro pazienti e spesso li vedono morire; OSS e volontari, che hanno rinunciato ad ogni contatto fisico con la propria famiglia e mettono in pericolo se stessi. Sono state posticipate le visite nelle AUSL e gli interventi chirurgici per le altre patologie, sono morti più di 100 sanitari e contagiati oltre mille operatori sanitari per salvare i concittadini in assenza delle protezioni. Altre categorie che non hanno cessato di lavorare in questa emergenza: sono la catena di distribuzione dei generi alimentari, i farmacisti.

Universi ha raccolto una testimonianza tramite i social di una educatrice che opera in una residenza per disabili nella città di Bergamo (http://www.animazionesociale.it/come-spiegare/), con la storia di un suo paziente autistico che si affacciava e attendeva l’arrivo della propria mamma, perché le visite sono limitate per contenimento del contagio, la stessa cosa è successa nelle case di cura nel Milanese in cui risiedono gli anziani. Io andavo al Centro Commerciale Gotico o al Galassia una volta alla settimana per un caffè e sul mercato ora non si può, non posso uscire con la carrozzina elettrica, sento passare poche macchine sulla strada, nel mese di marzo passavano più ambulanze che vetture private.

Hassan Haidane

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Ho letto la testimonianza del cappellano dell ospedale Sacco di Milano e attraverso il suo racconto ho avuto modo di fare delle riflessioni sull’importanza dello scambio tra persone: sull’importanza dell’umanità. Attraverso il vetro con il quale vede i pazienti Covid19, trasmette la presenza di Dio, la sua vicinanza e la speranza. Tutti noi, nei momenti difficili ci aggrappiamo a qualcosa di più grande di noi. Chi alla fede (io), chi a un’entità sconosciuta, chi comunque a “qualcuno” che sta al di sopra del nostro essere.
In questo particolare momento di isolamento per tutti, ma soprattutto per i pazienti in ospedale malati di coronavirus, che non possono ricevere nessuna visita da parte di familiari, la presenza di un uomo (che non sia medico o infermiere), che li vada a trovare, che gli porge una domanda, che gli porta un saluto, trasmette umanità e vicinanza…senso di non abbandono.

Non a caso il cappellano dice che” Dio ti raggiunge attraverso l’uomo”. In questo caso l’uomo mandato da Dio, è il cappellano.
In altri casi può essere un genitore,un figlio,un amico, un’ insegnante che in momenti difficili ti porge una mano,ti ascolta,ti consiglia o in momenti di felicità, partecipa alla tua gioia e condivide i tuoi successi. DIO TI RAGGIUNGE ATTRAVERSO L’UOMO. In questa quarantena, con tanta sofferenza e con, purtroppo tante persone che hanno lasciato questa vita, è difficile dire “Dio esiste e ci è vicino”; è più facile affermare il contrario. La presenza fisica del cappellano invece, testimonia l’amore che Dio ha per l’ umanità, che non significa che l’umanita sia immune dal dolore ma che attraverso la condivisione, la vicinanza e le cure, riceviamo comunque Amore. E quando si riceve amore, nessuno mai è solo.

Alex Manfrin

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Questo che stiamo vivendo è un periodo di incertezza totale, in cui ci sentiamo smarriti e impotenti perché la nostra realtà e le nostre abitudini sono state completamente stravolte; è molto triste e quasi surreale continuare a sentire il suono delle ambulanze e sentire sempre parlare di morti. Questo è anche un periodo in cui viviamo una maggiore difficoltà a relazionarsi con gli altri perché è quasi impossibile farlo di persona ma lo si può fare quasi solo con i social network. E’ un periodo in cui tutti siamo costretti a fare grandi sacrifici e ognuno deve essere responsabile anche per gli altri rispettando le regole, cosa che per alcuni pare essere molto difficile.

Suggeriti dalla nostra redazione, mi hanno colpito gli articoli “Come spiegare a un ragazzo autistico perché la mamma non viene più a trovarlo” di Simona Bona (http://www.animazionesociale.it/come-spiegare/) e “L’autismo in quarantena e lo sfogo negato della passeggiata” (http://invisibili.corriere.it/2020/03/24/lautismo-in-quarantena-e-lo-sfogo-negato-della-passeggiata/) di Renato La Cara. Il primo, in particolare, ci parla delle sensazioni, delle angosce e delle difficoltà degli operatori in prima linea, che non sono solo medici e infermieri ma anche operatori socio sanitari e addetti con mansioni di vario genere che continuano a lavorare ogni giorno, senza magari avere a disposizione neanche gli strumenti di protezione adatti, come le mascherine, e senza neanche essere troppo considerati, come ad esempio gli educatori. E non solo gli educatori ma anche i disabili. Mi ha colpito in particolar modo la frase “ciò che cerco di fare quotidianamente è rendere migliore la sopravvivenza di 35 ragazzi (disabili)”.

In effetti non se ne parla mai, ma se è limitativo e stressante a livello psicologico per tutti rimanere in casa e soprattutto cambiare le proprie abitudini, ancora di più lo è per le persone disabili in genere ma soprattutto per le persone autistiche o comunque che hanno difficoltà cognitive, per cui non è così facile trovare i modi di spiegare il perché della situazione in cui ci troviamo. Spero che questa pausa forzata finisca presto e che porti le persone ad essere più consapevoli di quello che davvero conta nella vita e cioè affetti e relazioni ma anche e soprattutto a rendersi conto degli altri e dei “diversi” per poterli non solo rispettare ma anche considerare di più e aiutare.

Roberta Capannini

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Crisi Italia, tra emergenza coronavirus e fase 2: ce la faremo?

Chateaubriand durante la Rivoluzione francese osserva: ” Gli eventi correvano più veloci della mia penna: scrivevo su un vascello durante una tempesta e pretendevo di dipingere come oggetti fissi le rive fuggitive che passavano e s’inabissavano lungo il bordo”. Ed eccoci qui oggi, catapultati a vivere una nuova, straordinaria crisi epocale, trasformati improvvisamente da presunti invicibili giganti, dominatori degli eventi, a piccoli, fragili esseri, incerti del domani; in balia di un nemico nascosto, sconosciuto, ma ben più grande di noi. E mentre ciascuno resta chiuso nelle proprie case, vivendo un tempo sospeso di surreale attesa, fuori il tempo corre vorticoso, seppure invisibile, verso un’accelerazione della Storia che da decenni non si percepiva così netta, verso trasformazioni geo-politiche, economiche e sociali che cambieranno probabilmente per sempre (in meglio, o in peggio, chi lo sa?) l’intero volto dell’Europa e del mondo.

È vero, dopo quella che sembrava “la fine della Storia” con la caduta del muro di Berlino nell’89, a partire dagli anni 2000 la gobalizzazione ha mostrato evidenti le sue crepe, con crisi che si sono susseguite sempre più rapide e violente. L’emergenza sanitaria di questo 2020 che stiamo vivendo, ultima crisi sopraggiunta in ordine di tempo, si presenta però profondamente diversa dalle precedenti: inedita, inaspettata, micidiale nella sua forza distruttrice: estranea a dinamiche interne e specifiche degli Stati, una pandemia globale ha colpito democraticamente – in modo più o meno pesante – tutte le nazioni, mietendo migliaia di vittime, lacerando il cuore pulsante dell’economia mondiale, impoverendo milioni, se non miliardi di persone. “La crisi più imponente dalla Seconda guerra mondiale ad oggi”- sottolineano gli esperti. E all’Italia, già fragile economicamente, tocca uno dei prezzi più salati. Piacenza neppure sotto le bombe pare abbia mai raggiunto un numero così elevato di vittime; in rapporto alla polazione risulta la città più colpita d’Italia.

Non è facile fare i conti con tanto inaspettato dolore, una sofferenza che non può neppure essere alleviata dalla vicinanza familiare per il rischio di contrarre l’infezione. Difficile adattarsi al quotidiano lockdodwn forzato, repentinamente privati di una libertà da sempre data per scontata, sottovalatuta forse, delegata troppo spesso dietro l’utile schermo di un telefono, che pure, all’improvviso, non basta più. E se per nessuno è semplice adeguarsi a nuovi ritmi e spazi di vita, senza più alcuna sicurezza – sanitaria, affettiva ed economica – su cosa sarà domani, ancor meno lo è per chi deve convivere con problemi di salute pregressi, o deficit cognitivi: come si spiega a un ragazzino autistico, per cui la passeggiata fuori è sfogo rigenerante, un modo per sentirsi vivo e non isolato dal mondo, che ora è necessario stare in casa? La quarantena può allora rivelarsi un vero incubo alla “Black mirror” per tutti i conviventi.

Eppure, se si pensa ai soldati silenziosi di questa guerra, il sacrificio più grande l’hanno fatto certamente loro, e per questo vanno ricordati: medici, infermieri e personale sanitario sottoposti a turni di lavoro massacranti, privi delle adeguate protezioni e ogni giorno a rischio della vita; impossibilitati a commuoversi, a soffermarsi più di un istante su un paziente appena deceduto o spaventato per l’arrivo del successivo, totalmente sottratti alla propria vita affettiva e famigliare. Volontari o educatrici di ragazzi disabili – poco nominate, poco considerate, anche loro scarsamente protette – eppure essenziali per la sopravvivenza fisica ed emotiva di questi ragazzi, spesso lontani dalle famiglie. Sacerdoti, molti dei quali hanno perso la vita confortando gli ammalati nei loro ultimi momenti. Impiegati di supermercati, farmacisti, forze dell’ordine. Tutti eroi in prima linea, che, senza bisogno di clamore, hanno salvato migliaia di vite rischiando la propria.

Ormai da giorni il quadro epidemiologico nazionale sta lentamente migliorando. Gli ospedali tornano a respirare, si liberano i reparti di terapia intensiva, calano i malati, i guariti aumentano. L’Italia, tra mille dubbi e incertezze, si prepara quindi alla ripartenza – la cosiddetta fase 2 – dal 4 maggio. Riapertura graduale, distanziamento sociale, dispostivi di protezione individuale, tracciamento dei contatti sono le parole d’ordine. Ce la faremo? Molto dipenderà da noi, dal senso civico che dimostreremo, dal rispetto dei comportamenti individuali per minizzare il contagio; oltre che dalla tempestività di dignosi e trattamento della malattia per spegnere alla radice nuovi eventuali focolai d’infezione.

Per una vera ripartenza, ccorre però puntare lo sguardo ben oltre la dimensione prettamente sanitaria o assistenziale. Alla grave recessione che ci attende, dovremo imparare a rispondere con nuove forme di pensiero e azione, ben diverse dai vecchi paradigmi consolidati. Potremo ricominciare davvero solo se lo spirito di solidarietà comunitaria e intergenerazionale riscoperto in queste settimane riuscirà a tradursi in un nuovo, ambizioso, modello di sviluppo che riduca le disuguaglianze e ridistribuisca la ricchezza; che tagliando la burocrazia sostenga concretamente e tempestivamente iniziativa d’impresa, famiglie e soggetti fragili tramite adeguati incentivi e strumenti fiscali; non limitandosi ad elargire redditi o prestiti emergenziali.

Ben lontano dalla concezione egocentrica dell’individuo, convinto depositario di ogni diritto e proprietario del mondo, occorre un innovativo modello globale incentrato su conoscenza, educazione, ricerca e investimento pubblico. E basato sulla profonda consapevolezza dell’intima interdipendenza che lega i diversi soggetti della comunità umana e vivente. Perchè nella normalità precedente, di normale c’era poco. Solo così, la Liberazione appena trascorsa potrà essere preludio di una nuova, gloriosa Ricostruzione.

Micaela Ghisoni

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