Carabinieri, azzerati i vertici provinciali. Il nuovo comandante arriva da Milano

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Operazione Odysséus, azzerati i vertici del comando provinciale di Piacenza. Il nuovo comandante provinciale dell’Arma è il colonnello Paolo Abrate e proviene dal gruppo carabinieri di Milano.

Da viale Beverora sono stati trasferiti il comandante provinciale, Stefano Savo, e i capi del reparto operativo, Marco Iannucci, e del nucleo investigativo, Giuseppe Pischedda. I 3 ufficiali sono estranei allindagine della Procura, che ha portato all’arresto di 6 carabinieri e a misure di custodia cautelare per altri 4 militari.

Il colonnello Stefano Savo, fino ad oggi comandante provinciale di Piacenza, ha convenuto con senso di responsabilità il provvedimento adottato nell’interesse dell’istituzione per consentire il regolare e sereno svolgimento dell’attività di servizio.

Il tenente colonnello Alfredo Beveroni è il nuovo comandante del Reparto operativo di Piacenza.  Beveroni viene dalla scuola sottufficiali di Firenze e nella sua carriera ha avuto notevoli incarichi in ambito territoriale. Il maggiore Lorenzo Provenzano è il nuovo comandante del Nucleo investigativo di Piacenza e arriva dal comando di una sezionedel Ros di Milano. I provvedimenti sono stati assunti dal comando generale dell’Arma dei carabinieri, nella giornata di oggi venerdì 24 luglio e sono già effettivi. Gli ufficiali, ”tutti di primissimo piano”, come sottolinea l’Arma, nelle prossime ore raggiungeranno Piacenza.

OPERAZIONE ODYSSEUS – Le indagini sono state condotte negli ultimi 6 mesi dalla Procura di Piacenza e hanno consentito di scoprire illeciti messi in atto dal 2017. I reati più gravi però, ha detto il procuratore Grazia Pradella, risalgono agli ultimi mesi, quando Piacenza era nella stretta del coronavirus. La decisione, arrivata dal comando di Roma; proprio nella giornata di ieri è stato predisposta l’attivazione di una stazione mobile in via Caccialupo, al posto della “Levante” sotto sequestro, così come è stato presentato il nuovo comandante della compagnia di Piacenza. In questi giorni arriveranno anche altri 8 militari: forze fresche e di rinnovamento per il comando provinciale.

L’INCHIESTA – L’inchiesta che ha sconvolto Piacenza, coordinata dalla Procura, è scattata a febbraio di quest’anno: 17 le misure di custodia cautelare emesse, sei delle quali nei confronti di carabinieri (5 in carcere e una ai domiciliari), a cui si aggiungono 4 misure dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, una di obbligo di dimora in provincia di Piacenza ed una denuncia a piede libero. 

Al centro dell’operazione la caserma della stazione di Piacenza Levante in via Caccialupo, dove i carabinieri arrestati prestavano servizio: pesantissimi i reati a loro contestati a vario titolo, che vanno dal traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, all’arresto illegale, alla tortura, all’abuso d’ufficio. A far scattare l’intera inchiesta la testimonianza di un Ufficiale dell’Arma a lungo in servizio a Piacenza che, sentito come persona informata sui fatti relativamente ad un’altra indagine, aveva riferito di aver ricevuto alcuni messaggi da parte di un cittadino marocchino che affermava di essere un informatore dei carabinieri della stazione Levante e di conoscere personalmente l’appuntato dell’Arma poi finito al centro dell’indagine. Secondo le dichiarazioni dello straniero, il militare, insieme a due colleghi, “era solito ricompensare le notizie ricevute attraverso la cessione di stupefacente, custodito in un contenitore custodito all’interno della caserma di via Caccialupo e che era chiamato “scatola della terapia””.

Gli stessi carabinieri, “quando non ritenevano esaustive le indicazioni rese dagli informatori, avevano l’abitudine di esercitare pressioni su di loro e di minacciarli, il tutto con la complicità del comandante di stazione”. Sempre secondo il cittadino marocchino, i carabinieri “tenevano altri comportamenti sopra le righe, come organizzare festini a base di stupefacente ai quali partecipavano diverse prostitute”; inoltre l’Appuntato dell’Arma “in più occasioni aveva sottratto parte del denaro sequestrato agli spacciatori che venivano arrestati nel corso di regolari operazioni di polizia”. Un quadro che ha trovato più di un riscontro nel corso delle indagini, proseguite per sei mesi, con 75mila conversazioni telefoniche, ambientali – oltre ai flussi di comunicazioni telematiche – captati ed analizzati e sette vetture monitorate. Risultanze tali che hanno portato al sequestro della caserma di via Caccialupo – fatto mai accaduto in Italia. 

“Ho fatto un’associazione a delinquere ragazzi! Che se va bene… ti butto dentro, nel senso a livello di guadagno” […] “in poche parole abbiamo fatto una piramide: sopra ci stiamo io, tu e lui… ok? Noi non ci possono… a noi… siamo irraggiungibili, ok?”. Così parlava l’appuntato dell’Arma, ritenuto al vertice del gruppo e accusato di essere entrato direttamente nel mercato dello spaccio: secondo quanto ricostruito, il sistema ideato prevedeva alcuni “intermediari”, nei confronti dei quali lo stesso appuntato si sarebbe adoperato per fare in modo che i trasporti dello stupefacente, in particolare dal milanese, avvenissero “in sicurezza”; questo anche in pieno lockdown, quando il militare avrebbe messo a disposizione una sorta di lasciapassare con il timbro della caserma da esibire in caso di controlli.

Attività di spaccio che si lega a filo doppio con quella degli arresti di pusher nel piacentino, che secondo gli inquirenti venivano pianificati “sia per permettere agli indagati di recuperare stupefacente da cedere a terzi, sia per togliere di mezzo eventuali concorrenti nel settore dello spaccio”. E gli arresti avvenivano spesso in modi poco ortodossi, come sottolineato dal procuratore di Piacenza Grazia Pradella: “L’intenzione di apparire “più bravi degli altri” ha portato i militari della stazione Levante di Piacenza a “eseguire più arresti. Peccato che spesso, sempre, questi arresti si basassero su circostanze inventate e falsamente riferite, dapprima oralmente e poi per iscritto al pubblico ministero di turno”. A completare il quadro le violenze, secondo le accuse sfociate in alcuni casi in vere e proprie torture come quelle subite da un pusher per costringerlo a rivelare ai carabinieri infedeli dove tenesse lo stupefacente.

Sempre l’Appuntato, al quale sono stati sequestrati una villa con piscina, una vettura, una moto e 24 conti correnti, è poi coinvolto in altre vicende che – evidenzia il Gip – ne denotano “ulteriori attitudini criminali, rivelando come egli abbia la profonda convinzione di poter tenere qualunque tipo di comportamento vivendo al di sopra della legge e di ogni regola di convivenza civile”. E’ il caso dell’accusa di estorsione ai danni di una concessionaria in provincia di Treviso, presso la quale il militare stava trattando l’acquisto di un’auto, poi pagata – secondo quanto emerso – una cifra ben al di sotto del valore di mercato: a suo dire alcuni uomini avrebbero cercato di truffarlo e per questo aveva organizzato una sorta di spedizione punitiva. E’ lui stesso a parlare dell’accaduto in una conversazione intercettata “Sono entrato attrezzato (per la Procura l’espressione è da intendersi come “armato”, ndr), uno si è pisciato addosso, nel senso proprio pisciato addosso […]l’altro mi ha risposto e l’ho fracassato!

E’ ancora lui, il giorno di Pasqua e in pieno lockdown, ad organizzare una festa con altre persone nella propria abitazione. E’ una donna a segnalare la situazione contattando il 112; il militare in servizio alla centrale operativa, una volta scoperto che si trattava dell’abitazione dell’Appuntato, si premura di contattarlo per spiegargli la situazione: “La pattuglia te l’ho mandata io perché non sapevo che era casa tua […]. M’ha detto che c’era una festa con una grigliata, una festa… c’era una festa con… con della gente estranea con una grigliata […]. Comunque non ho scritto niente e non sa un cazzo nessuno”.

E’ invece un giovane carabiniere, parlando dei suoi colleghi al padre, a tratteggiare l’atmosfera nella stazione Levante, all’interno della quale si sarebbe svolto anche un festino a luci rosse. Di lui – ricorda il giudice Luca Milani – parlano due dei militari coinvolti nell’indagine “commentandone l’atteggiamento solitario e le resistenze a farsi coinvolgere nel gruppo”. Una scarsa propensione a seguire i colleghi – osserva il magistrato – “probabilmente dovuta al suo forte disagio nel constatare le continue violazioni e gli abusi commessi all’interno della caserma di via Caccialupo”. In particolare, in una conversazione con il padre, emerge “tutta la delusione del giovane militare dell’Arma per essere finito a lavorare in un ambiente in cui vengono costantemente calpestati i doveri delle forze dell’ordine, dove tutto è tollerato a condizione che vengano garantiti i risultati in termini di arresti”. “Si gestiscono molto tra loro – dice il giovane carabiniere –, lo sai perchè se lo possono permettere? Perchè portano gli arresti! […] c’hanno i ganci!”.Molte cose fatte a umma a umma, non mi piacciono“, 

Nell’ordinanza il Gip allarga il campo alle responsabilità dei superiori in grado dei militari coinvolti, che – scrive il magistrato – “erano disposti a chiudere un occhio sulle intemperanze e sulle irregolarità compiute dai militari loro sottoposti”. Per il giudice l’obiettivo del Comandante della Compagnia di Piacenza è quello “di conseguire più risultati di servizio possibili, al fine di “contrastare” i successi operativi che, ultimamente, sono appannaggio dei colleghi di Bobbio e di Rivergaro, da lui ritenuti “potenzialmente inferiori” rispetto ai militari in servizio a Piacenza”. Una “esclusiva attenzione al numero degli arresti a fini carrieristici” che ha “consentito al sistema di illecite privazioni della libertà personale […] di proliferare anche nel periodo del contagio da virus Covid-19”. Di “atteggiamento caratterizzato da dolose omissioni, falsità, superficialità e accidia” – scrive sempre il gip questa volta in riferimento al comandante della stazione Levante.

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