L’impegno civile di Satiri di Storie: un viaggio tra le verità nascoste delle parole foto

Le parole non sono solo suoni, ma significati e la satira non è solo divertimento, ma apertura di orizzonti.

Mai come quest’anno ne ha dato prova Satiri di Storie, il Festival piacentino della Satira diretto dall’attrice Letizia Bravi, giunto alla sua quarta edizione e progettato in collaborazione con Associazione 18-30, con il patrocinio del Comune e il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano.

“In quest’anno così diverso dagli altri si è sentito più forte il bisogno di riflettere prima di sorridere e di sorridere per capire” – ha spiegato Bravi. E Satiri di Storie lo ha fatto usando le parole e la loro Storia per raccontare storie. Storie di ieri e di oggi, storie di vita, storie di noi, sempre più condizionati da una società che ingabbia, rendendo urgente la necessità di squarciare il velo delle sue irrisolte contraddizioni. Un impegno civile a cui “Satiri di Storie” non può e non vuole sottrarsi.

Lo ha fatto per prima Annagaia Marchioro, attrice, filosofa, attivista per i movimenti LGBT, nel suo “Pourparler”: spettacolo ispirato alla stand- up comedy americana, andato in scena sabato 12 settembre al Baciccia. E poi, domenica 13 settembre, ci hanno pensato l’attrice piacentina Letizia Bravi e il collega Marco De Francesca sul palco del Teatro“Trieste 34”, con la loro indagine teatrale sulle “nuove povertà”: non più solo “povertà materiali”, ma anche e soprattutto “sociali” e “psicologiche”.

“Nel suo viaggio tra le parole – così l’ha definito la stessa protagonista-, tra autobiografia e personaggi raccontati, Marchioro ha sradicato stereotipi, ribaltato ruoli e significati, aperto squarci inattesi, disvelato scomode verità che spesso fingiamo di non vedere. L’etimologia è la stratificazione del senso delle cose, mentre le parole sono livelli geologici dell’umanità”. Così ci sorprendiamo di fronte a significati diversi da quelli di cui eravamo convinti, scoprendo che cattivo deriva dal latino “captivus”, che vuol dire “prigioniero; contrario, quindi, di libero e non di bravo. Mentre bravo deriva da “pravus” cioè “barbaro”, quindi i bravi erano in realtà i cattivi delle storie, come ci insegna Alessandro Manzoni nei suoi “Promessi Sposi”.

Ma le parole della performer ruotano soprattutto sotto l’insegna dello slogan “love riot ‘: “Il mio preferito – ha sottolineato l’attivista -, pensate che vuol dire “amare la lotta, ma anche lottare per amore e soprattutto amare chi lotta. Prendiamo termini che per il loro stesso esistere suscitano polemiche, parole di genere, come avvocata o segretaria, per secoli non utilizzate poiché alle donne era precluso l’accesso a queste professioni e oggi difficilmente accettate dalla donna perché svalutanti”. “In effetti – fa notare – il segretario può essere anche uomo di partito, la segretaria è colei che tiene contabilità e porta le borse al menager; il cubista è seguace di Picasso, la cubista è ballerina in discoteca. E chi di voi pensando a una governante menziona la Merkel piuttosto che una donna delle pulizie?”.

Ecco che allora Annagaia racconta e interpreta per un attimo uno dei suoi personaggi: una suora spagnola realmente esistente, convinta che Dio derivi dallo spagnolo “dìa”- giorno – e per questo sia femmina. “Troppe cose sono state create perché Dio sia uomo – dice la suora -, che desiderando un mondo più giusto, “aspira un giorno a diventare Papa, con la ‘a’”- precisa. “Le parole sono di tanti tipi – ha poi detto la Marchioro – vecchie e nuove, parole d’amore e parole di odio, parole non dette o dette troppo, ma, come scrive Emily Dickinson,”nulla al mondo ha più potere della parola. È per questo che dovremmo imparare a usarle: non per separare, ma per ampliare, ‘rispettando’ (guardando due volte, guardando meglio) l’altro e le cose; perché ogni parola usata da noi, che siamo tutti uomini di frontiera, può essere un passo verso la nostra liberazione”.

E a liberare orizzonti emotivi dalle parole è pienamente riuscita anche Letizia Bravi, accompagnata dall’attore Marco De Francesca , nello spettacolo “#nuovi poveri”, smascherando verità complesse nascoste tra concetti sempre più subdolamente imposti da media e sistemi di potere nella società consumistica che tutti abitiamo. In un “Teatro Ttrieste 34” sold out, #nuovi poveri, ultima produzione di Guinea Pigs (compagnia milanese dell’attrice Bravi) ha concluso con successo la IV edizione di Satiri di Storie Festival.

Spettacolo profeticamente concepito quando il lockdown ancora non c’era, ma che appare la proiezione del disagio sociale e interiore acuito dalla quarantena, si ispira al “Diario di un senza fissa dimora” di Marc Augè ed è costruito partendo dai dati raccolti attraverso 262 questionari on-line. In un circo decadente e in disuso, su scena bianca, come le bandierine che li circondano, gli attori compongono sul palco le loro storie di “festa mancata” tra sogni di ricchezza e incubi di povertà, in una società che oggi ragiona solo in termini di consumo e consumatori.

Letizia e Marco, non abbastanza poveri per esserlo davvero, ma neppure abbastanza ricchi per non sentirsi poveri-  poveri si, ma dignitosi come i vestititi che indossano – diventano protagonisti, interpreti e testimoni della loro indagine teatrale sulle nuove povertà, attraverso una serie di video interviste fondate sulla finzione drammaturgica dichiarata. Attori e personaggi, simili e complementari, sono chiusi nella stessa gabbia, stretti nel medesimo cerchio senza uscita che unisce incomunicabilità generazionale, lavoro nero e sottopagato, giovani uomini disorientati, in attesa di riuscire a trovare un proprio posto nel mondo, famiglie indebitate, giovani donne che non possono permettersi un figlio perché poi bisogna mantenerlo. Mentre altre sacrificano figli e famiglia per la cura del proprio ego.

Così, tra un personaggio e l’altro, dentro e fuori da se stessi, imbonitori e acrobati di un circo che è la vita, Letizia Bravi e Marco de Francesca ci fanno scoprire e scoprono insieme al pubblico che veri poveri sono gli altri, mentre i “nuovi poveri” sono loro, insieme ai protagonisti delle loro storie. I “nuovi poveri” siamo noi, poveri ma belli, eppure perennemente insoddisfatti: acquirenti da discount e passeggeri low-cost, sempre attaccati all’ultima occasione persa, non si sa bene quale, schiacciati dal capitalismo imperante, ma incapaci di venirne fuori. E allora cambiamo presto la rotta: Satiri di Storie indica il sentiero verso un’umanità piena, dove cose, pensieri e parole corrispondono.

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