Tra Prima e Seconda Repubblica: Piacenza e i suoi sindaci nei ricordi di Mauro Molinaroli

Anche Piacenza ha la sua Storia e, con lei, le sue storie. Anche a Piacenza, piccola città di provincia, non è facile far funzionare la ‘macchina pubblica’ tra burocrazia, alleanze e scontri di partito, momenti di gloria e cadute inaspettate.

Ne sa qualcosa Mauro Molinaroli, per anni – dagli anni Settanta allo scorso maggio – al lavoro in Comune, per la maggior parte trascorsi come addetto e poi responsabile dell’ufficio stampa di palazzo Mercanti. Ospite presso la galleria Biffi Arte lo scorso sabato 12 settembre, il suo ruolo non è stato per una volta quello di giornalista – intervistatore, ma di narratore della propria esperienza professionale e umana, vissuta presso il Comune di Piacenza.

“Sono stati anni  nel complesso molto stimolanti, che mi hanno permesso – ha detto Molinaroli –  di capire da vicino il funzionamento di meccanismi, che, percepiti dall’esterno, fanno un effetto completamente diverso. Soprattutto ho conosciuto le persone che gravitano attorno agli ingranaggi comunali: undici sindaci, ciascuno molto diverso dall’altro, tutti destinatati a lasciare  segni alla città e ai suoi abitanti; i primi sette, protagonisti della Prima Repubblica, fino al 1994; gli altri della Seconda, fino ad oggi”.

“Due mondi totalmente differenti: infatti non ha senso parlare di sindaci senza riferirsi alla macchina comunale – ha sottolineato -. Mentre nella Prima repubblica la politica riusciva a imporsi sulla burocrazia, realizzando progetti e lavorando in modo più lineare, anche grazie a una minore frammentazione politica e alla maggiore solidità economica, nella Seconda, con il venir meno di questi due elementi, accade spesso il contrario, nonostante i sindaci godano di poteri più ampi”.

Non mancano però, al di là di Prima e Seconda Repubblica, tratti comuni. “Non si può non parlare della ‘solitudine’ dei sindaci, condizione con cui da sempre molti primi cittadini hanno dovuto fare i conti – ricorda -: prima circondati  dai fasti della vittoria, sostenuti da assessori e segretari alacri, e poi abbandonati al primo cambio di vento”.

Situazioni a cui Molinaroli ha avuto modo di assistere da vicino: la sua esperienza professionale a palazzo Mercanti inizia negli anni ’70 con l’avvocato Felice Trabacchi e la svolta a sinistra della città. “Un sindaco molto amato, Trabacchi – racconta -,  perché incarnava ciò che era la città: come pochi sapendo conciliare gli aspetti e le attese di Piacenza con la vicinanza ai cittadini”. Amante del motorino e non dell’autista personale, Trabacchi parlava con tutti e spesso si faceva la barba in ufficio, ma soprattutto ha posto le fondamenta di progetti strutturali da realizzare: il collettore fognario, il rifacimento di quasi tutte le strade cittadine, in particolare del centro storico, la cura dell’argine, il tentativo di risanamento del quartiere Farnesiana; soprattutto la costruzione degli edifici scolastici fino al 1983.

“Ogni sindaco ha comunque il suo tratto distintivo e obiettivi da perseguire” precisa Molinaroli. Dopo Trabacchi arriva infatti “l’apertura culturale” piacentina con Stefano Pareti: il risanamento della biblioteca prende corpo insieme alla nascita dei musicicli di Palazzo Farnese e ai concerti ispirati alle “Estati romane”, voluti da Renato Nicolini. Alcuni obiettivi perseguiti dai sindaci piacentini si sono realizzati, altri no: ancora adesso, a distanza di oltre quarant’anni, abbiamo ad esempio il problema di come gestire piazza Cittadella, “a testimonianza della difficoltà di far funzionare le cose nel pubblico, ma la Piacenza di oggi vanta realtà di innegabile qualità e il Politecnico è indubbiamente una di queste” – sottolinea Molinaroli.

Da Pareti ad Angelo Tansini, che, concreto e burbero, non si spinge mai oltre il necessario; fino alla grande crisi dei primi ’90, con l’elezione di Franco Benaglia e l’emergere di “forze protoleghiste, nate nel segno dell’antipolitica, come i ‘Pensionati piacentini’, ‘pantere grigie’ che potremmo definire “populiste ante litteram” – dice Molinaroli. Anni drammatici quelli fino al ’93, che mostrarono tutta l’incapacità della Prima Repubblica di reagire a sé stessa, fino alla sua caduta: da Benaglia, al primo sindaco donna Anna Braghieri, e poi all’avvocato Grandi, la Prima Repubblica vede la sua fine un pomeriggio  di giugno del 1993.”Ero a Cosenza quel giorno per la conquista della promozione in Serie A del Piacenza – ha ricordato Molinaroli – e dopo quattro giorni ininterrotti di Consiglio Comunale crolla la Prima Repubblica con le dimissioni di Grandi”.

Arriva il 1994 e l’elezione diretta del sindaco da parte dei cittadini. In questo contesto, Piacenza si fa per la prima volta laboratorio politico di quello che sarà più tardi l’Ulivo, con la vittoria quell’anno, per un pugno di voti, del professor Giacomo Vaciago – alleato con l’allora PDS (Partito Democratico della Sinistra) e Alleanza per Piacenza – contro il candidato del centrodestra destra Paolo Passoni. Con Vaciago il cambiamento è sostanziale: la sua è una visione lungimirante della città: quello di una persona conosciuta, colta, tesa al miglioramento della struttura urbanistica; una figura dominante tra gli assessori con cui lavora. Ma non durerà a lungo. Nel 1997 Vaciago si dimette, quando sembrava certa la sua riconferma per l’anno seguente, la sinistra entra presto in crisi e a Piacenza subentra una giunta di centro-destra condotta da Gianguido Guidotti: troppo lacerata al suo interno, troppo litigiosa per durare.

Così nel 2002 spunta come dal nulla Roberto Reggi, “forse la vera eccezione della Seconda Repubblica – ha sottolineato Molinaroli – uno dei sindaci più attivi e propositivi, abilissimo nell’uso della comunicazione”. Con lui mutano radicalmente vecchi parametri consolidati, tanto che, una volta insediato si circonda di un gruppo di fedelissimi, tra cui Paolo Dosi, futuro sindaco. L’ufficio stampa lavora incessantemente, le opere pubbliche accelerano fortemente fino alla loro conclusione: viene terminata la tangenziale – chi non ricorda la polemica con Sgarbi per la proprietà di Villa Serena e la capacità promozionale di Reggi nei confronti di Piacenza? Viene costruito in poco tempo il cavalcaferrovia con una consistente riduzione del traffico cittadino, ricostruito il Ponte del Po, cominciato subito dopo il crollo nel 2009.

Ben altro comunicatore rispetto a Vaciago, Reggi è l’unico sindaco a espletare due mandati consecutivi. Dopo di lui Paolo Dosi, che il responsabile dell’ufficio Stampa definisce “sindaco della città invisibile e degli ultimi”; fino ai nostri giorni, con Patrizia Barbieri. “Lei sindaco aperto al dialogo e confronto”, ma in un contesto di tensioni e fratture interne, che certo non aiuta a lavorare bene. Divisioni non nuove, in una Piacenza litigiosa da sempre, con scontri e alleanze che dettano il gioco della politica, ma stavolta in un quadro ben più complicato: con il Covid -19 che si è abbattuto su Piacenza nella sua furia più devastante, falciando vite e posti di lavoro, mentre recenti scandali già sporcavano l’immagine della città: i ‘furbetti del cartellino’, l’arresto per ‘ndrangheta del Presidente comunale Giuseppe Caruso e, ultimo, lo scandalo della caserma Levante.

Riuscirà oggi la politica nella sfida di superare dissapori vecchi e nuovi, per una città che ha grande bisogno di ripartire? Non facile, ma possibile: a patto di rendersi conto che i problemi da affrontare sono gli stessi a  destra  e a sinistra: bisogni dei cittadini, salute, ambiente, lavoro che non c’è. Sono queste le sfide urgenti, per tutti, di oggi e di domani. E senza unità di intenti e di azione che guidi la rotta, resta impossibile vincerle.

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