L’appello del vescovo Adriano alla comunità civile “Combattiamo il virus dell’indifferenza”

Lettera del vescovo Adriano Cevolotto alla comunità civile di Piacenza, in cui invita tutti a fare la propria parte per combattere la crisi economica e sanitaria che ci ha colpiti. 

Speravamo tutti che questa pandemia da Covid-l9 cessasse e si potesse riprendere la vita nella sua norrnalità. Ma non è così: il virus si diffonde e i contagi crescono. L’esperienza che abbiamo fatto ci ha ricordato che siamo vulnerabili e limitati. Inoltre tutto ciò ci ha fatto toccare con mano quanto siamo collegati e interdipendenti: il virus non ha confini, il contagio si diffonde da un Paese all’altro, ciò che accade a qualcuno riguarda tuffi e diventa un pericolo per tutti. Nell’esperienza drammatica che stiamo vivendo ci è consegnata questa lezione: come il contagio avviene per contatto anche l’uscita dall’emergenza è possibile nel fare corpo.

Come ci ha ricordato Papa Francesco, questa difficile situazione che tutto il mondo sta vivendo lancia a tutti un pressante invito a diventare più consapevoli della nostra comune condizione umana: la precarietà e la reciprocità sono alla base della nostra vita. Se queste dimensioni vengono ignorate, si perde la responsabilità che deve accompagnare ogni attività umana. Siamo chiamati a riconoscere che il vero cambiamento che ci è richiesto va nella direzione di un’autentica solidarietà e di vera fraternità.

L’altra sera in piazza Cavalli nella manifestazione di protesta si imponeva uno striscione: “E’ facile per chi prende lo stipendio dire agli altri di stare a casa”. Parole forti che subito ho inteso rivolte al governo che nell’ultimo DPCM aveva stabilito scelte necessarie per affrontare la ripresa dei numeri della pandemia. Eppure questa prima lettura non mi lasciava tranquillo. In quello striscione infatti riconoscevo qualcosa di più della rabbia di chi si trova imposte delle limitazioni lavorative con i pesanti danni economici che ne derivano. Quelle parole esprimevano la sofferenza di chi avverte che il peso per limitare la diffusione del contagio non sia equamente distribuito.

Essendo stato valutato che alcune attività lavorative possono favorire comportamenti che alimentano i contagi, è stato deciso infatti di porre dei limiti di orario e addirittura delle chiusure di alcune attività. Non potendo entrare nel merito di tali motivazioni, mi sono però chiesto: se delle scelte sono doverose per salvaguardare la salute mia e di tutti, perché il peso deve ricadere solo su qualcuno? E vero che si promettono dei ristori, ma siamo consapevoli che i danni (pur gravi) non sono solo di tipo economico. Giustamente ci si appella alla responsabilità di queste categorie lavorative: dovete capire che vi chiediamo decisioni dolorose per il bene di tutti. Quindi c’è un appello ad un patto civile, ad un patto sociale. Allora se l’appello urgente è di fare un’alleanza, che alleanza sia con tutti.

Le istituzioni si stanno impegnando a collaborare in questa linea, ora è il momento della società civile, nel suo insieme. Prima di tutto nei comportamenti responsabili (uso della mascherina, ricorso all’igiene delle mani, il distanziamento, le limitazioni degli spostamenti…). Ma non basta. E richiesto un salto di qualità: di rispondere all’appello per una solidarietà diffusa, che tocchi gli interessi economici di tutti. E’ ragionevole che un’attività sospesa per il pericolo di contagio debba continuare ad avere spese fisse come quando è operativa, come ad esempio l’affitto del locale? Perché una parte del costo di queste scelte non può essere preso in carico dai proprietari degli immobili locati, mediante una temporanea riduzione o sospensione del canone di affitto? Perché non favorire le attività di ristorazione con l’acquisto di beni da asporto? In tal modo si può promuovere la dignità del lavoro che non subirebbe l’ interruzione.

Potrebbe essere responsabilizzante l’attivazione dei Bilanci personali, familiari o comunitari di giustizia, stabilendo che una parte di quel Bilancio mensile sia devoluto a chi è più in necessità. Magari alimentando il fondo di solidarietà “Insieme Piacenza’ avviato nell’estate tra Comune di Piacenza, Fondazione di Piacenza e Vigevano, Crédit Agricole, Diocesi. Un modo per andare incontro, insieme, alle famiglie o ai singoli segnati duramente dall’attuale emergenza.

Da parte mia mi impegno, per quanto riguarda i beni della diocesi, a mettere in atto queste proposte, continuando quanto già è stato avviato. Intendo estendere l’invito anche alle realtà che fanno riferimento all’Ente ecclesiastico. In questo momento invito pure i sacerdoti perché, nel tempo della pandemia e delle limitazioni imposte ad alcune attività, ognuno stabilisca una quota mensile da devolvere a favore delle situazioni più bisognose economicamente. Se riusciremo a rompere la logica del “si salvi chi può”, trasformeremo questo momento di crisi in una reale conversione a quello che ripetiamo da tempo: “non ci si salva da soli” e  “non dobbiamo lasciare indietro nessuno”.

Il Signore ci liberi dalla retorica che tranquillizza il cuore ma che non smette di alimentare il ‘virus dell’indifferenza’, che continua a mietere vittime attorno a noi e che moltiplica l’incertezza e le paure. E ci doni la creatività e il coraggio per aprire nuovi percorsi di prossimità.

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