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Recessione economica globale da Covid-19

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Alla fine del 2019 l’economia italiana presentava evidenti segnali di stagnazione. Le previsioni dell’inizio del nuovo anno evidenziavano segnali positivi sulla produzione industriale e il commercio estero.

Previsioni rese vane dal dilagare dell’epidemia di Covid-19 e i conseguenti provvedimenti di contenimento decisi dal Governo. Provvedimenti che hanno determinato un impatto profondo sull’economia, alterando le scelte e le possibilità di produzione, investimento e consumo ed il funzionamento del mercato del lavoro. La rapida diffusione dell’epidemia a livello globale ha inoltre drasticamente ridotto gli scambi internazionali e quindi la domanda estera rivolta alle imprese italiane.

Secondo l’agenzia di rating americana Moody’s, il rallentamento dell’economia globale causato dalla pandemia da coronavirus aumenterà il debito delle economie avanzate: crollo della crescita nominale del Pil e aumento del deficit. Alla fine dell’anno, in media nelle principali economie avanzate il debito/Pil salirà di circa 19 punti percentuali. Un numero più grande di quanto visto nell’intera crisi finanziaria globale. Con la complicazione che il fenomeno sarà più vasto e immediato. Alcuni Paesi purtroppo pagheranno lo scotto maggiore: Italia, Regno Unito e Giappone sono i Paesi dove è previsto un balzo fino a 25 punti percentuali del rapporto tra debito e ricchezza nazionale, a causa soprattutto dell’andamento del PIL nominale.

Significa che l’Italia, che nel 2019 aveva un rapporto debito pubblico/PIL del 134,8% (dato alquanto allarmante), a fine 2020 potrebbe superare abbondantemente la quota del 160%.

La pandemia sta causando una recessione economica globale – L’indebitamento dell’economia mondiale sta raggiungendo limiti pericolosi. La somma dei debiti pubblici e privati in rapporto al Pil è aumentata in tutto il mondo prima e dopo la grande crisi del 2008 giungendo l’anno scorso a raggiungere quote allarmanti. Con il forte aumento dei debiti durante la crisi pandemica di quest’anno si rischia di creare una bomba finanziaria che in futuro potrà scoppiare, soprattutto se i tassi di interesse torneranno a essere più elevati e normali, travolgendo la solvibilità delle banche, delle imprese e dei governi.

Le principali banche centrali si parlano ma non lo fanno sapere ufficialmente e, anzi, insistono sul fatto che ciascuna deve perseguire interessi nazionali (per la BCE quelli dell’Eurozona). I mercati possono allora prevedere sfasamenti nei loro provvedimenti e nei tassi di interesse, con conseguenze sui cambi, o addirittura manovre di svalutazione competitiva.  Ciò aumenterebbe la probabilità di spostamenti di capitali speculativi che turbano l’economia globale, provocando disordini valutari con conseguenze gravi in particolare nei Paesi emergenti, che non hanno monete di rilievo globale. Sarebbe opportuno, per evitare il diffondersi di aspettative destabilizzanti, che la “normalizzazione” delle politiche monetarie avvenisse in modo coordinato.

Le previsioni dell’Istat – Le previsioni presentate dall’Istat sono basate su ipotesi che riguardano prevalentemente l’ampiezza della caduta della produzione nel secondo trimestre del 2020, più marcata di quella del primo, e una significativa ripresa dei ritmi produttivi nel terzo e quarto trimestre, oltre ad un contenimento dei contagi nella seconda parte dell’anno. Se a questi due fattori economico/sociali si aggiunge “l’efficacia delle misure di sostegno ai redditi e gli impegni di spesa previsti nei recenti decreti e, infine, il proseguimento di una politica monetaria accomodante che stabilizzi i mercati finanziari garantendo il normale funzionamento del sistema del credito”, le previsioni potrebbero essere meno “impattanti” rispetto a quelle previste da altri osservatori.

In base a queste premesse l’Istat prevede “una marcata contrazione del Pil nel 2020 (-8,3%, inferiore al 12% prospettato da alcuni osservatori internazionali e al 10,1% previsto da Prometeia) e una ripresa parziale nel 2021 (+4,6%; + 5,9% per Prometeia). Nell’anno corrente la caduta del Pil sarà determinata prevalentemente dalla domanda interna al netto delle scorte (-7,2 punti percentuali) condizionata dalla caduta dei consumi delle famiglie e delle ISP (Indicatore della Situazione Patrimoniale) (-8,7%) e dal crollo degli investimenti (-12,5%), a fronte di una crescita dell’1,6% della spesa delle Amministrazioni pubbliche. Anche la domanda estera netta e la variazione delle scorte sono attese fornire un contributo negativo alla crescita (rispettivamente -0,3 p.p. e -0,8 p.p.). L’evoluzione dell’occupazione, misurata in termini di ULA, è prevista evolversi in linea con il Pil, con una brusca riduzione nel 2020 (-9,3%) e una ripresa nel 2021 (+4,1%). Diversa appare la lettura della crisi del mercato del lavoro attraverso il tasso di disoccupazione, il cui andamento rifletterebbe anche la decisa ricomposizione tra disoccupati e inattivi e la riduzione del numero di ore lavorate. L’andamento del deflatore della spesa delle famiglie manterrebbe una intonazione negativa nell’anno corrente (-0,3%) per poi mostrare modesti segnali di ripresa nell’anno successivo (+0,7%)”.

Il messaggio è abbastanza chiaro: se i Governi si preoccupassero di tenere a freno le smisurate manovre speculative che seguono ogni tipo di emergenza (incluse quelle volte alla estenuante ricerca di consenso politico), le risorse economiche, finanziarie, strutturali e sociali per contenere i danni dell’attuale emergenza sanitaria, ci sarebbero. Ma vanno usate. E in modo adeguato.

Messaggio rivolto a negazionisti e superficialisti di ogni luogo e fazione – I provvedimenti presi dai Governi “illuminati”, hanno certamente determinato una profonda crisi economica, ma va precisato, senza alcuna ombra di dubbio, che se non si fossero adottati adeguati provvedimenti di contenimento del virus e di distanziamento sociale, con il relativo lock-down, la situazione, oggi, sarebbe molto, ma molto peggiore.

Un esempio? Dal punto di vista sanitario: milioni di italiani si sarebbero ammalati. Le strutture sanitarie non sarebbero state in grado di gestire un numero così elevato di pazienti e sarebbero “crollate”. I morti da coronavirus sarebbero stati più di 600.000. Dal punto di vista economico/sociale: drastica riduzione della popolazione attiva sul lavoro. Scarsità di reperimento dei beni di prima necessità, con conseguente vertiginoso aumenti dei prezzi. Fallimento di molte piccole imprese di produzione di beni “voluttuari” (non necessari). Forte riduzione del PIL. Aumento della disparità sociale.

Mi rendo conto che è molto difficile fare valutazioni certe su possibili scenari di un contagio su vasta scala, ma la situazione che si andrebbe a creare, numeri a parte, non sarebbe molto distante da quella prospettata.

Andrea Lodi

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