Casagrande (Confagri) “Green Deal europeo rischia di essere un boomerang”

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Nota stampa Confagricoltura Piacenza

Riduzione del 50% dell’uso dei fitofarmaci in agricoltura e del 20% dei fertilizzanti, entro il 2030. Taglio del 50% dei consumi di antibiotici per gli allevamenti e incremento del 25% delle superfici coltivate a biologico. Sono alcuni dei principali obiettivi della strategia sulla sostenibilità Europea. Con il Green Deal, Bruxelles punta a raggiungere una quota di almeno il 30% delle aree rurali e marine europee protette, e a trasformare il 10% delle superfici agricole in aree ad alta biodiversità.

“Le proposte della Commissione penalizzano il potenziale produttivo dell’agricoltura e del sistema agroalimentare europeo. E’ una prospettiva che non condividiamo – sottolinea Marco Casagrande, direttore di Confagricoltura Piacenza – perché aumenterebbero le importazioni da Paesi terzi che applicano regole diverse e meno rigorose. Lo pone chiaramente in evidenza anche un recente articolo pubblicato sul numero di ottobre della rivista Nature”. Solo la Cina importa prodotti agricoli più dell’Europa che ha acquistato l’equivalente di un quinto dei raccolti (118 megatonnellate) e tre quinti della carne e dei latticini consumanti (45 megatonnellate).

“Gli accordi Ue non richiedono che le importazioni siano prodotte in modo sostenibile, così gli stati europei stanno esternalizzando i loro danni ambientali” – rimarca Casagrande. Tra il 1990 e il 2014, riporta l’autorevole rivista, nel mondo sono stati disboscati 11 milioni di ettari, i tre quarti sono legati alla produzione di semi oleosi in Brasile e Indonesia, mentre le foreste europee si sono espanse del 9%. L’Ue importa ogni anno dal Brasile carne bovina per un valore di 500 milioni di dollari, la maggior parte della quale fornita da aree appena deforestate. Le importazioni agricole dell’Ue sono legate a più di un terzo di tutta la deforestazione globale, ma gli accordi commerciali dell’Ue tacciono su quali standard specifici le importazioni debbano rispettare e questo, sia in termini di certificazioni di impronta di carbonio sia in termini di uso di fitofarmaci. I partner commerciali dell’Europa usano in media il doppio dei fertilizzanti sui semi di soia (34 Kg per tonnellata rispetto ai 13 Kg nell’Ue) e l’uso in Brasile è raddoppiato dal 1990, arrivando a 60kg per tonnellata nel 2014.

“Per inciso, ricordo i dati Ispra sulle vendite dei fitosanitari in Italia: nel periodo 2011-2018 la somministrazione dei fungicidi è diminuita del 22%, insetticidi e acaricidi sono calati del 21% e gli erbicidi del 16%. Nello stesso periodo è diminuito mediamente del 26% il contenuto dei principi attivi nei prodotti fitosanitari. Le somministrazioni medie annue complessive di fitosanitari per ettaro sono passate dal 9 kg (2000-2010) a 6.6 Kg (2011-2018) – 26%. Togliere i presidi all’agricoltura significa fare la fame e non risolvere il problema dell’inquinamento. Persino la produzione di bioenergia – sottolinea Casagrande – senza un’armonizzazione delle direttive e degli standard a livello globale, senza un calcolo dell’impronta di carbonio che consideri anche le importazioni, rischia di essere un boomerang. Gli obiettivi dell’Ue per le energie rinnovabili, come l’inclusione del 10% di biocarburante nel diesel entro il 2020 hanno incrementato le importazioni di semi di sia dal Brasile. Paradossalmente, vietare le importazioni di materie prime bioenergetiche sosterrebbe gli obiettivi di sostenibilità”.

“Ricordo del resto – prosegue Casagrande – che la nostra associazione aveva auspicato la revisione delle razioni dei biodigestori con l’obiettivo di valorizzare il possibile impiego di scarti delle lavorazioni agroalimentari per ridurre al massimo la competizione tra le colture food e quelle fuel”. Nel contesto dell’emergenza sanitaria in atto, l’agricoltura e il sistema agroalimentare sono stati considerati alla stregua di attività essenziali, questo aspetto è stato sottolineato anche dalla Commissione Ue, che però indica direttrici in contraddizione con la necessità riconosciuta di aumentare la produzione alimentare del vecchio continente. “È fondamentale – conclude Casagrande – che la PAC post 2020 non venga formulata in contrasto con le finalità che il Trattato dell’Unione europea attribuisce a tale politica, che sono: l’incremento della produttività dell’agricoltura, l’equo tenore di vita degli operatori, la stabilizzazione dei mercati, la sicurezza degli approvvigionamenti e la disponibilità dei prodotti a prezzi ragionevoli per i consumatori (art. 39 TFUE)”.

“Se le pressioni ambientaliste arriveranno ad affermare la riduzione della produttività agricola come un valore, imponendo un’irrazionale riduzione dell’uso di prodotti e tecnologie che oggi consentono l’intensificazione non ci sarebbe alternativa all’importazione, con la conseguenza di esportare esternalità ambientali negative e di generare disequilibri con un impatto che sarebbe maggiore sui paesi poveri. I prodotti destinati all’alimentazione hanno una valenza pubblica che non può essere sottovalutata e sacrificata. Occorre andare avanti con il ricorso e la diffusione delle innovazioni tecnologiche, a partire dalla nuove biotecnologie in campo, mettendo a frutto tutti gli strumenti che la scienza e la tecnologia ci mettono a disposizione per produrre di più gestendo sapientemente tutti i fattori produttivi”.

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