“Con la caccia non si diffonde virus, estendere possibilità di spostamento”

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Nota stampa di Federcaccia Piacenza

Nel corso di questa settimana, a pochi giorni dalla classificazione della Regione Emilia Romagna in zona arancione (ai sensi dell’ultimo D.P.C.M.), tale Ente ha riconosciuto la possibilità di spostamenti tra comuni per procedere alle operazioni di controllo e per la caccia al cinghiale, sia nella forma della braccata che della girata e della selezione. E’ questo un primo importante risultato a cui hanno contribuito , con notevole impegno , tutti gli Organi Territoriali di Federcaccia Emilia Romagna, tra i quali Federcaccia di Piacenza e che, però, costituisce per tale Associazione Venatoria unicamente il primo passo per arrivare all’obiettivo il quale, infatti, è solo e soltanto quello di riuscire ad estendere a tutti i cacciatori residenti nella Regione la concreta possibilità di riprendere ad esercitare la caccia ovunque abbiano titolo: appostamento fisso sito in altro Comune, caccia in Atc in cui non ricade il Comune di residenza; accesso ad Aziende Agrituristico o Faunistico Venatorie, ecc…

Federcaccia Piacenza, unitamente a tutti gli altri Organi Territoriali di Federcaccia Emilia Romagna, sono ancora e più che mai attive ed operative affinchè tale (ora più che mai essenziale, pur se non agevole) percorso sia portato positivamente a termine al più presto tanto in Regione Emilia Romagna ed altresì venga, di conseguenza e parimenti, anche fatto proprio da tutte le altre Amministrazioni Regionali grazie all’apporto di tutti gli altri Organi Nazionali di questa Associazione Venatori. Infatti, se gli iscritti a una squadra di caccia collettiva al cinghiale o gli autorizzati a prelievi di contenimento possono superare i confini comunali per prelevare il cinghiale, ci pare naturale pensare che nulla possa essere detto a chi invece del suide selvatico ricerca fagiani e/o beccacce tramite l’ausilio del proprio cane: le possibilità di concorrere alla diffusione del virus non cambiano certo dall’esercizio collettivo ad uno invece solo individuale dell’Attività Venatoria.

Rammentiamo, infatti, che la caccia si pratica in ampi spazi aperti, lontano da aree abitate e antropizzate, la maggior parte delle volte in forma singola o con un numero di persone tale da poter mantenere, proprio perché all’aperto, una distanza interpersonale largamente superiore a quella consigliata da tutti i protocolli. Non ci sono quindi ragioni scientifiche, mediche e di buon senso per impedirla. E non è un caso che infatti la caccia non sia stata sospesa dal Dpcm, ma solo resa difficile o impossibile dai limiti agli spostamenti. Un problema al quale siamo convinti le Regioni – e non è un caso che Federcaccia Nazionale si sia in questi giorni rivolta anche alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome proprio per confrontarsi con loro – possano porre rimedio.

Ringraziamo quindi le Regioni che hanno deciso di assumersi la responsabilità di autorizzare uno scostamento dall’interpretazione data generalmente al Dpcm, considerando che qualsiasi passo avanti, anche parziale, può fare da apripista a ulteriori e più complete e soddisfacenti determinazioni. Certo, se la cosa dovesse rimanere limitata a cercare un rimedio ai danni arrecati dai cinghiali alle colture, alla circolazione stradale o in funzione di unico presidio nei confronti di zoonosi come la peste suina, non troverebbe la nostra soddisfazione. Bisogna dunque andare oltre e non fermarsi a questo punto: soluzioni parziali e che non riconoscono uguale dignità alle diverse categorie di cacciatori non sono accettabili. Adesso dunque è necessario che le Regioni abbiano il coraggio di continuare il percorso intrapreso, anche agendo sul Governo, per permettere uno svolgimento della caccia pienamente soddisfacente pur all’interno del contesto delle norme emanate a tutela della salute pubblica.

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